Horror, Sala

NON AVERE PAURA DEL BUIO

Titolo OriginaleDon't be afraid of the dark
NazioneAus / U.S.A.
Anno Produzione2010
Genere
Durata99'
Tratto dasceneggiatura di Nigel McKeand
Montaggio
Scenografia

TRAMA

La piccola, problematica Sally si trasferisce col padre e la di lui compagna in una lugubre dimora ottocentesca. Segue una serie di cliché, ma quello sarebbe il meno.

RECENSIONI

Il prologo è anche promettente, con le inquadrature giuste per inaugurare un Haunted House Movie vecchia maniera: due sinuosi movimenti di macchina a entrare nella casa (il primo in esterno, il secondo in interno) seguiti da inquadrature / soggettive metaforiche “della casa”. Chiusura della sequenza di moderata efficacia, con crudeltà visiva un po’ castigata e un bagaglio informativo fin troppo nutrito, che di fatto chiude i conti narrativi della vicenda (almeno nei suoi risvolti chiave). Ma è solo l’inizio, c’è di che sperare. Macché. Non avere paura del buio sembra tentare quello che potrebbe essere un nuovo trend dell’horror mainstream statunitense, il ritorno letterale sui topoi più vieti, con l’intento di rinvigorirli, senza nessuna seduzione metacinematografica (Insidious). Qui abbiamo, fondamentalmente, una bambina, una lugubre magione e la paura del buio. Con di mezzo una separazione genitoriale, difficoltà di socializzazione e adulti ottusi. Troppi cliché? Macché. L’horror, se “ben fatto”, regge benissimo il peso del déjà vu, anche pesante.

Il problema è che Non avere paura del buio non è, semplicemente, ben fatto. Al di là della presenza visiva del nume tutelare Del Toro (ci sono dei cut&paste clamorosi da Il labirinto del Fauno), registicamente siamo nell'anonimia più estrema. Un tempo si sarebbe parlato di prodotto paratelevisivo, se non fosse che oggi, roba come American Horror Story non consente paragoni improntati al deteriore. Anche se il limite maggiore dell'operetta sta proprio nella sceneggiatura di Guillermo Del Toro che accarezza ipotesi di fiaba dark senza trovare un bandolo di una matassa che sia una. La sciagurata distribuzione di sapere/i allo spettatore, come già accennato, disinnesca qualunque ipotesi di suspense, tutto è chiaro, prevedibile, piatto. E anche le creaturine malefiche compaiono troppo presto, perdendo immediatamente carisma perturbante e derubricandosi a birichini pseudo-Gremlins/Critters con più di un ingeneroso richiamo al The Gate di Tibor Takàcs. Sequenze come quelle della cena, in particolare, col mostriciattolo che scappa sotto il tavolo e tutte le gag/sketch che ne derivano, sono semplicemente prive di senso e non riescono a dotare il film di alcun tipo di connotazione, fallendo la virata comica e ridicolizzando i presunti tentativi puristi in senso horrorifico. Per tacere della nonchalance, prossima all'impudenza, con cui vengono serviti plot holes profondi come canyon: nessuno indaga sull'autoproclamato 'incidente' del giardiniere, punzecchiato, morsicchiato e tagliuzzato ovunque? Nessuno nota il cadavere dell'esserucolo spiaccicato in libreria? E che dire del prefinale, in cui Kim viene trascinata nel buco sotto gli occhi del compagno che 1) Se ne fa immediatamente una ragione e 2) Non chiama neanche la polizia per indagare dove sia finito - magari - il cadavere? Solo per dirne alcuni. Va bene la suspension of disbelief ma qui siamo all'approfitto.

Operazione forse nostalgica, insomma (horror anni ’80 per bambini cresciuti? La polaroid – usata hitchcockianamente – potrebbe essere un indizio), che però imbratta la memoria di tristezza, non azzecca nessun canale intrattenitivo e autoconclude un discorso sterile quanto ingiustificato. Guy Pearce inguardabile.