TRAMA
Maddy ha diciotto anni e vive da sempre chiusa in casa, a causa di una grave malattia del sistema immunitario. Un giorno arriva un nuovo giovane vicino.
RECENSIONI
Noi siamo tutto inizia con la voce narrante della protagonista, un monologo adolescenziale che ricalca in tutto e per tutto un diario. Come in un gioco con lo spettatore, mescola canali differenti, immagine o suono e realtà del mezzo e del luogo in cui realmente avviene la comunicazione. Metafora dell’immaginario giovanile, proteso in questo caso più che mai ad evadere i confini imposti. Viene da un grande successo letterario questa trasposizione altrettanto amata dal pubblico. La storia di una ragazza che ha trascorso 18 anni di vita tra le mura di casa (una casa tutta vetrate, per l’appunto). La prima scena ce la presenta in bilico tra interno ed esterno, davanti ad un vetro che fa da confine e che l’immaginazione/desiderio abbatte, aprendo la strada ai luoghi più spesso sognati: una spiaggia, l’acqua del mare. Questa scelta di dare concretezza visiva immediata ai sentimenti della protagonista appare da subito efficace, e funziona finché viene coltivata. Con una madre ed un’infermiera come unico mondo, Maddy, novella Rapunzel disneyana, fa torte, giochi da tavola, guarda film romantici - Stregata dalla luna, un classico, ma scapigliato quanto basta, con un vano ed inascoltato “Fattela passare” che è già un annuncio di quel che verrà. Fa buone letture, che poi recensisce online. Mentre le altre coetanee partono e vivono, lei sa di essere sempre lì. Una ragazza per cui ogni giorno è uguale al precedente, fino al giorno in cui, forse, non è più così. Il primo vero incontro tra Maddy e Olly avviene al balcone, a richiamare Romeo e Giulietta. Il resto è fitta conversazione in chat tramite il telefonino. La sceneggiatura accosta romanticismo classico ad elementi essenziali della modernità; aggancio al presente, proiezione ad una dimensione gratificante e possibile. La Rete, che all’inizio si presentava come porta sul mondo per chi è chiuso in gabbia, poi si rivela ponte verso l’esterno. La rappresentazione del rapporto amoroso che cresce a distanza è visionaria ed al contempo disinvolta: vediamo i ragazzi parlare normalmente in un bar quando invece stanno chattando. Come a dire che quando è con lui è come se la ragazza fosse all’esterno, libera. Maddy si chiede persino se sia tutto frutto della sua immaginazione. Per il primo nervoso incontro di persona tra i due innamorati ci vengono mostrati in sovrimpressione i loro pensieri in tempo reale.
Fin qui tutto bene, ma i primi scricchiolii arrivano. E’ da gioco delle parti l’opposizione ferma della madre e quella malleabile dell’infermiera. Il film resiste fino al primo viaggio in macchina della protagonista, per sgonfiarsi completamente all’arrivo alle Hawaii, con una vacanza raccontata nel modo più convenzionale e anonimo possibile. La meta è l’oceano tanto vagheggiato, anticipato dal sogno iniziale e dall’omaggio delle cartoline fatto dall’innamorato alla reclusa. In un crescendo di inverosimiglianza e insipienza, parallelo al bombardamento di musica per teen agers di poche pretese, la pellicola precipita verso un colpo di scena che, almeno sul grande schermo, non tiene. Tutta questa seconda parte del film dimentica le invenzioni ed il linguaggio spontaneo e moderno che rendevano interessante quella che altrimenti sarebbe stata la solita storia d’amore impossibile per giovanissimi. È proprio lo stile narrativo a decadere. Va bene affermare il primato della vita e del sentimento - “Pensare è sopravvalutato” dice chiaramente Olly - soprattutto quando si lascia intendere che l’incontro fortunato è stato più molla che unica ragione di una scelta. Inoltre, sebbene i due personaggi principali non vengano sufficientemente approfonditi, la sceneggiatura riesce a ravvivarli con piccoli tocchi, tra autoironia e romanticismo (il ragazzo dice di non essere un principe ma si comporta come tale), col grande aiuto che il dramma sempre offre in queste circostanze. Il problema è invece che la vivacità, il linguaggio personale e contemporaneo della prima parte del film si perdono completamente. Manca anche il coraggio che sarebbe stato necessario: concludere la vicenda con coerenza e maggior realismo. Inevitabile andare col pensiero alle altre storie d’amore e malattia degli ultimi anni: Colpa delle stelle, Quel fantastico peggior anno della mia vita, Io prima di te. Non perfetti ma più uniformi e coraggiosi. Resta qualche rimpianto un primo tempo tradito dal secondo; la regista, al secondo lungometraggio, e gli attori molto giovani, con i volti giusti, sarebbero stati all’altezza del compito.
