Biografico, Drammatico, Recensione

NIGHTWATCHING

NazioneOlanda/ Gran Bretagna/ Francia/ Polonia
Anno Produzione2007
Durata134'
Sceneggiatura
Montaggio
Scenografia

TRAMA

Rembrandt e il complotto. Il suo dipinto più famoso diventa un J’accuse ai cospiratori. Pagherà l’ardire.

RECENSIONI

Anello di un progetto in onore del quattrocentesimo anniversario della nascita di Rembrandt, Nightwatching è una dichiarata declinazione del plot di I misteri del giardino di Compton House , applicata all’opera su commissione. Una questione di contratti risolta da Greenaway da par suo, con un film che non si limita ad essere dedicato a La ronda di notte, ma che fa del quadro il proprio principio generativo (ideale continuazione della folgorante installazione ospitata al Rjiske Museum), estraendone possibili trame nascoste, misteri non rivelati, intrighi e complotti inesorabili, matematici, fondendo la biografia del pittore con una detection indissolubilmente legata alla pittura, all’atto di guardare e, soprattutto, di saper vedere. Il movimento è duplice e speculare, se mi si permette di azzerare i livelli: ciò che Greenaway, come il Mr. Neville di The draughstman’s contract, estrapola dall’opera pittorica, il suo protagonista intrappola nella medesima. Il Rembrandt del film vede e tenta di far vedere, deduce e, immortalando su tela, induce. La pena è scontata, inevitabilmente simmetrica, basata sul contrappasso: l’accecamento. Di nuovo. Ovvio che la riflessione sul ruolo dell’artista, sull’atto scopico, sulla capacità cognitiva dell’immagine e, in ultima istanza, sul cinema stesso, si faccia esponenziale, ma ciò che stupisce in Nightwatching è il tentativo quasi demistificatorio riservato alla mera speculazione teorica e al riconoscimento di questi temi autoriali, a cui è necessariamente legata: Greenaway dissemina momenti di palese autoironia (si confrontino a questo pro anche l’ostentata fisicità dei corpi o la colonna sonora di stampo palesemente nymaniano), relegando l’esposizione delle note ossessioni a divertiti e programmatici momenti di ambiguità, dove i personaggi si confondono con gli attori, la realtà con la finzione, la necessità tramica al divertissement (si veda ad esempio la scena del pranzo, dove, ad un certo punto, i personaggi si ritrovano a scomporre una battuta, pronunciandone una parte a testa: rito dei personaggi o consapevolezza attoriale dello script?); ma non solo: rifuggendo il distacco cerebrale, l’entomologia, in nome di una solo apparente classicità (che, dopo il collasso economico del progetto Tulse Luper fa irrimediabilmente rima con vendibilità), Greenaway accentua il cotè drammatico della vicenda, sfuma i personaggi in una complessità mai enunciata, sempre suggerita, coinvolge emotivamente, nonostante una teatralità pronunciata (come in The Baby of Macon), donando un’anima addirittura ai frequenti a parte in cui i personaggi si appellano direttamente al pubblico. Così lo spessore di quelli che sarebbero altrimenti superficiali meccanismi narrativi si fa tangibile, facendo in modo non di emanciparli dal ruolo inestirpabile di ingranaggi, ma creando con essi una sorta di atipica empatia. Come se si trattasse di un superamento, di una riflessione sullo stato della propria opera, Greenaway non parte unicamente da La ronda di notte, ma anche, e soprattutto, dal suo cinema, estraendone temi e stilemi, giocandoci, donando loro quella profondità emotiva che, se precedentemente scaturiva dalla simmetrica, maniacale, ossessiva perfezione strutturale e formale, ora ha sfogo più libero e diretto, riscontrabile anche nelle eccelse e non laconicamente monocordi interpretazioni degli attori. Al solito la sostanza estetica è di strabiliante meraviglia compositiva, con referenti ovviamente esplicitati, e fotografata in un folgorante digitale cui la pellicola probabilmente non rende giustizia. Ma questo, permettetemi di dirlo, non è ciò che ci sorprende.