TRAMA
Il comprensorio di villette ribattezzato “Valle Serena” sembrerebbe coincidere, almeno a prima vista, con l’Eden a lungo sognato da Marina e Vittorio, giovane coppia di indole borghesotta che dà l’impressione di trovarsi a proprio agio soltanto tra luoghi comuni e salotti leopardati. Un conto, però, è scegliersi la tappezzeria, tutt’altra storia scegliersi anche i vicini… e non essendo questo possibile, i due dovranno accontentarsi delle nevrosi generate in loro dalla chiassosa, turbolenta presenza di Slatko e Bruna, l’ambigua coppia della villetta accanto. Con esiti quanto mai inaspettati…
RECENSIONI
“Ma se lo stai cercando, un senso forse c’è, ma non chiederlo alle stelle, cercalo dentro di te” “Poveri uomini” – Tiromancino
Nero bifamiliare vorrebbe essere una black comedy. Lo dice il titolo, lo conferma il press-book. Macchiette degne della stilizzazione così deplorata di Hostel II si agitano con l’obiettivo di trasfigurare, secondo i canoni e le caratterizzazioni della commedia, la situazione del Bel Paese, trasformando vizi e virtù in personaggi in carne ed ossa, poco importa se bidimensionali: trattasi di maschere. Zampaglione le prende, le contestualizza in un quartiere residenziale, microcosmo, parte per il tutto, Italia in miniatura, le fa interagire, con una semplicità che sfiora, nel caso dei vicini di casa, la caricatura razziale (per la caratterizzazione di questi come esseri primitivi, incorrotti, dediti al baratto, colmi di vitalismo), le fa discorrere secondo il manuale del luogo comune, con un’ironia da bassa lega a fare da collante: per carità tutto salvabile, in nome di una diagnosi sintomatologica della civiltà italiana. Certo. E’ quello che fa, in certi casi, la commedia. Sublima e semplifica in farsa, e dalla farsa non è che si sia così lontani. Ma il punto è un altro: Zampaglione non cade nel didascalismo solo nel descrivere i suoi personaggi, ma lo fa anche nell’approccio al suo pubblico. Descrive, ripete, sottolinea, spiega nei dettagli dalla freddura alla patetica moralina finale, trattando gli spettatori a cui si rivolge alla stessa maniera dei suoi personaggi, individui senza profondità e scarso intelletto, caricature, cadendo in una facile e bieca contraddizione. Fosse la superficialità stilistica, strabordante di vuoti virtuosismi, fosse l’incapacità di creare atmosfere, di aderire- o di interferire quantomeno- con il narrato, di insinuare nello spettatore un minimo dell’ossessione che il protagonista dovrebbe vivere, tutto questo non basterebbe a giustificare lo sconforto assalitoci a visione ultimata. Nero bifamiliare è la presuntuosa e superficiale predica sulla mediocrità umana data in pasto al (presunto) individuo mediocre, il risaputo spiegato allo stereotipo. Midcult per vocazione, consolatorio, adatto ad un pubblico dagli ideali preconfezionati, scarsa propensione alla profondità e larga attitudine a ricercare il riconoscimento, è opera che con pseudo-distacco critico cade negli stessi errori che attacca: il pregiudizio non è solo nei confronti dell’altro, ma, soprattutto, nei confronti dello spettatore.
“La risposta non la devi cercare fuori, la risposta è dentro di te. E però è sbagliata” Quelo- Corrado Guzzanti