Drammatico, Proibiti

NAISSANCE DES PIEUVRES

Titolo OriginaleNaissance des pieuvres
NazioneFrancia
Anno Produzione2007
Durata85'
Sceneggiatura
Scenografia

TRAMA

[Film non uscito nelle sale italiane] Tre adolescenti alla scoperta di sé: Anne, Marie e Floriane_x000D_

RECENSIONI


Presentato a Cannes 2007 nella sezione Un certain regard, esordio alla regia della trentenne francese Céline Sciamma, Naissance des pieuvres è un teen movie che accoppia due elementi basilari: la messinscena degli stereotipi del genere e la riflessione sugli stessi. Non a caso sfondo degli eventi è la piscina, luogo del cinema erotico, ambiguo per sua natura narrativa, che porta sempre al disvelamento di sé stessi (in piscina ci si spoglia, si è nudi). D’altronde il nuoto suona come metafora dell’“imparare qualcosa” (a vivere, a fare sesso) e l’armonia del nuoto sincronizzato contrasta volutamente con la disarmonia delle tre ragazze, incapaci di muoversi insieme. Questo mondo adolescenziale, rigorosamente privo di adulti, risponde a regole proprie: ci sono gli sguardi e le chiacchierate, c’è la festa come momento di interazione. Marie coltiva segretamente un sentimento per Floriane, germogliato durante un’esibizione di nuoto (il colpo di fulmine): per assecondarlo trascura l’amica Anne, che a sua volta corteggia il ragazzo a cui piace Floriane. Dopo un’iniziale frequentazione segnata dall’interesse e dallo scambio reciproco, Marie/Floriane si avvicinano realmente, rovesciando il banco delle apparenze: Marie non è ingenua come sembra, Floriane non è così matura. Inizia dunque l’ambigua relazione tra le ragazze. Elementi di contorno: le voci che girano, i luoghi comuni, la prima volta.


Il cinema francese medio (a basso budget, senza volti noti) conferma la peculiare sensibilità nel trattare il Tema Adolescenza [1]: Sciamma rimesta volutamente negli scenari tipici, senza affidarsi all’enunciazione (i dialoghi dei protagonisti) ma puntando proprio sulla rappresentazione. Evocando situazioni tipo, mettendole in pagina per l’ennesima volta, quasi sfacciate, automaticamente vi riflette sopra: una storia sull’adolescenza, ma soprattutto sui caratteri del film adolescenziale. In questo senso va letto anche l’alone saffico sparso a piene mani, programmatico in senso positivo, in quanto presuppone la profonda conoscenza del meccanismo. Il rapporto gay tra le ragazze è la calamita che attira più stereotipi, a gruppi di tre/quattro, in singole sequenze, ovvero i tre baci lesbici (interrotti o compiuti) che sono la punta del film: mascherati con la scusa dell’alito (il primo), smontati dal ritorno dell’attrazione etero (il secondo), bagnati dal rossetto che ricorda figurativamente il sangue del taglio del cordone ombelicale (il terzo).


Infine, centrale è l’importanza dei corpi. Tre corpi diversi per conformazione, misure e colori: 1) Marie (una straordinaria Pauline Acquart), legnoso e poco sviluppato (“Bimba dalle tette piccole”, dice l’amica) 2) Anne (Louise Blanchère), robusto e in sovrappeso 3) Floriane (Adele Haenel), già sbocciato e affascinante. La lontananza fisica rispecchia i caratteri delle ragazze, che difficilmente si incontrano e capiscono, intonando un coming of age incompiuto: corpi che consumano l’iniziazione sessuale ma non diventano adulti e restano ragazzi, circostanziati nel loro mondo di cui si fanno mezzi di esplorazione. Nella prima scena le gambe nell’acqua si muovono insieme come piovre, ha spiegato la regista; al contrario gli adolescenti sono i tentacoli dello stesso animale, incapaci di sincronizzarsi, non riconciliati, che si dibattono mentre si affacciano alla vita.

[1] Molti esempi negli ultimi anni, basti per tutti il bellissimo Stella di Sylvie Verheyde.


Lo stereotipo narrativo come il ruolo sociale: ovvio che il territorio del teen movie sia solcato inevitabilmente da personaggi alla ricerca della propria identità, funzioni narrative in farsi. La Sciamma cristallizza la suddetta ovvietà nella ricerca di sé di tre adolescenti, ragazze colte nell’istante di diventare donne: c’è chi si emancipa radicalmente dallo stereotipo, chi ambisce a incarnarlo, chi ne è suo malgrado vittima. Il potenziale narrativo, non potrebbe essere altrimenti, ne risente, calando vistosamente dai vertici di complessità legati a Marie sino alla prevedibilità di sviluppo (e di tono) di cui si fa portatrice Anne: ma è la vita, bellezza, è la narrazione di sé stessi. Fatta tabula rasa del mondo degli adulti il film si gioca tutto sui campi dell’accettazione di sé, della sessualità, dell’apparenza, della scoperta di sentimenti come l’amore e l’amicizia. Ed è un gioco onesto- fisiologicamente discontinuo tra la sfumatura e la grossolaneria, tra l’insinuare attraverso l’immagine e il declamare tramite la parola- che sfocia in un finale ad alto tasso simbolico, ingenuità colpevole, forse, ma di straordinaria aderenza all’altrettanto ingenuo sentire dell’universo narrato.