TRAMA
[Film non uscito nelle sale italiane] Un ragazzo è in piedi sulla banchina della stazione. Il treno sta per partire. Sarebbe meglio che andasse con la madre o che rimanesse con il padre? Una decisione che racchiude uno spettro infinito di possibilità. Finché non sceglie, tutto è possibile. Ogni vita merita di essere vissuta. (dal catalogo della 66^ Mostra Internazionale del Cinema di Venezia)
RECENSIONI
L'ottavo giorno, film assai poco riuscito, apparentemente normalizzava in una narrazione più piana e più concentrata sul versante realista i temi e gli stilemi esposti nel bellissimo Totò le heros (chi lo dice sopravvalutato spieghi una volta per tutte i perché); Mr. Nobody, tredici anni dopo, delle ossessioni che permeavano l' esordio di Jaco Van Dormael è radicalizzazione estrema, esponenziale. Kolossal suicidale, dal lungo travaglio produttivo, rifiutato a Cannes, presentato a Venezia, non distribuito in Italia, il film del cineasta belga si fonda sul concetto di scelta e quello, fisiologicamente connaturato, di possibilità (come Kieslowski e Sliding doors, come Smoking / No smoking e Synecdoche, New York, come certe digressioni di Jeunet, come Melinda e Melinda e via dicendo) : si inscenano dunque le vie che la vita del protagonista avrebbe potuto prendere, si sfalda la linearità della narrazione su binari che proseguono paralleli e si richiamano, si perdono, restituendo infine un equilibrio instabile, fisiologicamente incompiuto: le storie di Nemo si intrecciano sullo schermo al ritmo di libere, ingenue e geniali associazioni, seguendo la pulsazione discontinua di un processo mentale e affettivo scostante, che devia improvviso, s'obnubila, riprende e confonde. E' il precipitato infinito di un momento straziante, quello interminabile in cui un bimbo è costretto a prendere una decisione impossibile, a fare una scelta di fronte alla separazione dei genitori; e, al contempo - lo conferma l'agnizione (?) finale - è una riflessione sullo storytelling (d'altronde il cinema non è il luogo dove esperire la (im)possibilità di un'altra vi(t)a?): Mr. Nobody frulla (costretto dalla sua natura a farlo) il già visto, non semplice frutto di un immaginario, bensì sua messa in scena diretta; gonfio perciò di citazioni e plagi semi-dichiarati, di toni e sequenza rubate (da Gondry a Jeunet, da Wong Kar-Wai a Greenaway, dai Wachowski ai Monty Python, fino a Spielberg e Kubrick, numi tutelari, per tacere dei rimandi ai film dello stesso Van Dormael, di quanto non abbiamo colto e di quanto altro abbiamo dimenticato), solcato dai generi più diversi (dalla fantascienza, alla commedia, sino alla sit-com e al dramma familiare); pregno inoltre di una meraviglia infantile che gli sviluppi conclusivi confermeranno assolutamente coerente e che si manifesta in quel nostalgico, teneramente umano patetismo che contraddistingue lo sguardo dell'autore, quell'aura di disarmante, scoperta e malinconica dolcezza che permea le sue pellicole: concetti filosofici e di critica sociale come se dovessero essere spiegati ad un fanciullo, teorie scientifiche semplificate sotto il cappello dell'ironia, frasi apodittiche da spleen romantico - adolescenziale, stilizzazione dei caratteri in ingenui stereotipi ed estetica dello stupore, miscela di sprovvedute caricature televisive, poetiche altrui assimilate e cucite con soluzioni di semplice, bambinesca follia, colori sgargianti ed effetti digitali ovviamente ben esposti a titillare un' innocente e puerile sorpresa. Tutto è compre(s)so nei limiti di questa poetica, nell'ambizione imprudente di farne territorio di riflessione esistenziale: Mr. Nobody, con la sua struttura che esplode e poi implode annullandosi, è il farsi di una verità ovvia, universale e lancinante, che ha a che fare con il tempo, con ogni attimo; è un inno (e un monito) alla vita. Ed è un film che si può rifiutare, anche violentemente, in virtù dei limiti sinceri della poetica di Van Dormael, del suo afflato che, nonostante il dispiegamento di mezzi, riferimenti e ambizioni, è retto dallo sguardo di un adulto che s'ostina a vedere come fosse un bambino. Comunque sia, non gli si neghino inventiva inesauribile, generosità, coraggio, la capacità di scrivere pagine meravigliose (il rapporto tra Nemo e la sorella adottiva - omaggio a Los amantes del circulo polar di Medem - è lo squarcio di teen movie più candido e commovente mi sia mai capitato sotto gli occhi). E non si neghi, a chi ne scrive, la possibilità di rimanere estasiato dalla dismisura struggente che fonda il film, dalla sua coerentissima instabilità, da quelle inquadrature levigate e dai quei corpi svuotati, no/body, semplici involucri per le nostre emozioni.

Jaco Van Dormael non è un regista prolifico. In quasi vent’anni ha girato, includendo quest’ultimo, solo tre film, tutti incentrati in un modo o nell’altro sul senso dell’esistenza. Con Mr. Nobody, opera imponente e ambiziosa, gli interrogativi si moltiplicano a ogni inquadratura. La domanda che ricorre è “ma se fosse andata diversamente?”. Un po’ come in Sliding Doors, che ha obbligato il regista a rivedere la sua sceneggiatura (già in fase di sviluppo al tempo dell’uscita del film di Peter Howitt), ma estremizzato. Nella visione di Van Dormae, infatti, ogni scelta, fatta anche da persone geograficamente e culturalmente lontane con cui sembra di non avere davvero nulla in comune, finisce per influenzare, senza alcuna consapevolezza ma in modo determinante, riuscite e sconfitte (tanto per intenderci, il protagonista rischia di perdere a New York la donna che ama perché in Brasile un disoccupato mette a bollire un uovo). Per un po’ il film sembra un inno all’indecisione proprio per l’impossibilità che ha l’uomo di scegliere il proprio destino, ma via via si insinua un senso di ineluttabilità che rende chiaro come sia proprio la morte a dare un senso alla vita e come ogni scelta, anche la più sbagliata, contribuisca a rendere l’esistenza unica e speciale. Tra il passato ipotetico e le promesse del futuro, l’unica certezza è quindi il presente (l’azione è ambientata nel 2092), in cui il protagonista ha raggiunto i 118 anni di età ed è l’ultimo uomo non immortale che potrà vedere la fine dei suoi giorni. Lo stile di Van Dormael è molto personale e la partenza del viaggio che propone è folgorante. A ogni sequenza si succedono svolte, nuovi intrecci, improvvise opportunità. Ciò che colpisce è soprattutto il forte impatto visivo alla base del suo sguardo che pare teso alla ricerca del bello, con commenti sonori, musiche, scelte cromatiche, effetti speciali, che amplificano la potente suggestione offerta dalle immagini fino quasi a stordire. Un viaggio verso l’ignoto più affine alla leggerezza di Claude Lelouch (La Belle Histoire) che al rigore di Stanley Kubrick a cui è stato, con un po’ di azzardo, paragonato. Non facile tenere sotto controllo le continue iperboli narrative (tre donne per tre diversi destini) e la sensazione è che il film finisca per fuggire di mano al regista, costretto a concentrare un flusso ininterrotto di pensieri, ipotesi e sensazioni in continuo divenire in un tempo per forza di cose limitato. Ma Van Dormael ha la capacità di scacciare la razionalità e di tenere lo spettatore dalla sua parte. Almeno fino alla fine, in cui un senso di vuoto smaschera l’artifizio lasciando un senso di inespresso, con un retrogusto di occasione mancata. Bellissima occasione, però.
