TRAMA
1942, Parigi: Klein, commerciante d’arte, viene scambiato per un omonimo ebreo, ricercato per le leggi antisemite. Per discolparsi, fa ricerche sull’altro, scoprendo che ha intenzionalmente dirottato i sospetti verso di lui.
RECENSIONI
L’apologo di Joseph Losey tratta dell’indifferenza, calata ad “hoc” nella persecuzione degli ebrei durante la Seconda Guerra Mondiale: l’esistenza del protagonista è, suo malgrado, influenzata dalla presenza di un altro sé, un alter ego omonimo, invisibile, soprattutto presente nella sua mente-coscienza. Fra ottime scenografie e, più in generale, ricostruzione d’epoca, l’opera non vuole essere intellegibile a livello drammaturgico ma diventare significativa attraverso il mostrato: l’eleganza di Losey s’esprime nella ricerca, in ogni fotogramma, di riflessi e spessori, finanche spossante nel caricare e aprire, nell’intento di restituire un materiale gelido e misterioso, riscaldato da conturbanti odori di malattia. Trova, cioè, il modo di gettare la visione nel freddo senza emozioni (come la prima scena-shock con la “visita medica”) per poi contrastarlo con l’umanità delle sue disfunzioni. Film fortemente voluto da Alain Delon, anche produttore, che fu un sonoro flop commerciale.