TRAMA
Vita, canzoni, esibizioni, travestimenti, interviste, video, film, visioni di David Bowie, artista dai mille volti, figura chiave della cultura glam nei primi anni ’70, sperimentatore con Brian Eno alla fine del decennio, icona del pop e del cinema negli anni ’80, sempre al centro della scena, sempre magnetico, sempre unico.
RECENSIONI
Keep your 'lectric eye on me, babe
Dopo svariati "apocrifi" come la serie Five Years, il docufilm autour de David Bowie diretto da Brett Morgen si fregia di essere il primo ufficialmente autorizzato dagli eredi dell'artista, deputati a custodire - con alterne fortune, vedi il recente maldestro tentativo di lancio di NFT - l'ortodossia riguardo il più eterodosso degli artisti caduti sulla terra. L'endorsement sacerdotale ha garantito l'accesso a una gran mole di footage inedito, a volte prospettive nuove su situazioni note, a volte esperimenti video-artistici dello stesso Bowie, altre volte scene che sarebbero banali se non fossero incendiate dall'aura e dal magnetismo di David Bowie mentre attraversa un aeroporto deserto, si accende una Gitanes dopo l'altra oppure siede di spalle, macchia espressionista blu-arancio, in una stanza giallo limone attendendo un'intervista. Ha garantito anche l'assegnazione a niente meno che Tony Visconti della supervisione di suono e colonna sonora. Un ruolo chiave, quello al mixaggio sonoro, come emerge dalle caratteristiche dell'opera. Il punto centrale è che il biopic di Morgen non è un biopic, piuttosto una esperienza immersiva o meglio una passeggiata spaziale / viaggio interstellare dentro il cosmo smisurato che Bowie fu. Si apre con il montaggio frenetico di immagini nuove e d'archivio che fece da videoclip a Hallo Spaceboy remixata dai Pet Shop Boys ed è ingresso in medias res e manifesto perché è da lì che palesemente prende abbrivio la poetica di Moonage Daydream. Se abbiamo utilizzato, non senza tentennamenti e brividi, il termine inquietante "esperienza immersiva" è necessario chiarire subito che non si ricade nella tipologia che infesta le mostre blockbuster di tutto il mondo dove la cosiddetta e. i. è risolta dall'equazione semplice diorama + (presunta) tecnologia. In Moonage Daydream ci si immerge tanto nell'audiovisivo - è un film to be played at maximum volume, rigorosamente in sala - quanto nella visione del mondo e dell'esistenza di uno dei massimi intellettuali di sempre. Per fortuna si tratta di una Winterreise dentro una scatola cranica.
Secondo David Bowie, per il suo esistenzialismo e nomadismo psichico, ogni atto creativo ha a che fare con la vita. La visione del mondo plasmata dalla teoria dell'impermanenza buddista e dalla venerazione del nudo esistere - espresse in celebri interviste, come quella concessa a Dick Cavett nell'era Ziggy - ci arriva dalla sua viva voce, senza commenti o spiegazioni e senza contesti. Il bello di Moonage Daydream è nel rigettare la lettera e la didascalia che ossessionano la nostra epoca e scegliere piuttosto la deriva e quindi l'esperienza. Moonage Daydream è il paradosso affascinante di un'esperienza iniziatica rivolta ai già iniziati: puoi seguire un filo se possiedi riferimenti pregressi altrimenti lasciarti trascinare dal flusso. Veniamo a sapere, dal flusso, che Bowie non volle mai possedere un'abitazione, un domicilio fino al matrimonio con Iman perché la stabilità avrebbe inciso negativamente sul tipo di artista che voleva essere: uno spregiudicato pioniere, un "passante considerevole" come Arthur Rimbaud, se avesse potuto intonare insieme a Iggy Pop I am the passenger. Ci sono tante piccole rivelazioni apparentemente prosaiche, in Moonage Daydream, che forniscono spiragli su un uomo programmaticamente sfuggente come Bowie, colui che nei primi '70 (per poi, come sempre, smentirsi qualche anno più tardi) dichiarò pirandelliano il sospetto non esistesse nulla sotto gli strati di maschere. Un aspetto emerge potentissimo dall'esperienza in sala: la statura titanica di David Bowie. Il giovane David fu un fervente lettore nietzschiano. Il culto della volontà, speculare e complementare a quello dell'impermanenza di tutte le cose, gli è rimasto attaccato all'imprinting.
È diffusa una bizzarra postura per cui si giudicano gli oggetti culturali come fossero definitivi, come se dovessero dire tutto (quello che vorremmo dicessero). Il tradimento della lettera - ovvero della biografia esaustiva, completa, consequenziale: i ragionieri hanno avuto buon gioco a far notare quali album mancano, quali collaboratori eccellenti, quali outfit leggendari...- non è solo adatto a raccontare un artista che teorizzava e praticava il tradimento sistematico di se stesso ma permette una messa in scena assolutamente fluida e cinetica, che procede per blocchi e associazioni, non pretende l'esaustività ma cerca (per quanto possibile) di avvicinarsi allo spirito di David Bowie, uomo dell'impermanenza e della distruzione e ricostruzione costante del mondo, della possibilità sempre aperta, dell'avventura che prevede l'abbandono di ciò che è stato fatto nell'attimo in cui è concluso e l'immediato ripartire verso altro. Coerentemente Brett Morgen traduce in linguaggio filmico gli unici presupposti filosofici che ne hanno accompagnato l'intera avventura esistenziale e creativa. La teoria dell'impermanenza, da cui la mobilità del racconto e soprattutto il disinteresse assoluto per le conclusioni. Il substrato dionisiaco nietzschiano, il culto della vita e della mobilità, velocità, trasformazione, il ritratto di Bowie come "mortal with potential of a superman". È una tensione che attraversa tutto il film: non (solo) l'agiografia dello starman, del duca bianco, di uno che fu molte delle icone pop più potenti di ogni tempo e una rockstar rivoluzionaria e venerata; non (solo) il sondaggio tra le fratture di un uomo che era (e non nascondeva di essere) estremamente timido con tendenze misantropiche, un bookworm schivo, un gentleman dalla cortesia e generosità leggendarie. Piuttosto la costante tensione tra le due, figurata con particolare efficacia nei momenti come lo shot aeroportuale già citato. Bowie è all'apice della fama e del successo commerciale, è bellissimo, elegantissimo, un dio dorato (siamo nel 1982, il periodo platino - in tutti i sensi - di Let's dance) eppure ama farsi ritrarre in non-luoghi e mood che sono il precipitato delle solitudini esistenziali(ste) dove si sono ambientati i suoi lavori più oscuri.
La disposizione rapida del materiale video si adegua anche all'apparato messianico che ha sempre accompagnato David Bowie, più o meno programmaticamente, dal leper messiah Ziggy Stardust in poi. Lui è quasi sempre in movimento e copre la superficie del mondo (ora è a Kyoto, ora nel delta cambogiano, ora a Berlino, ora in Kenya e così via, senza peso e sforzo come fa un dio), il pubblico di adepti al culto è sempre mostrato mentre corre in direzione di, come il popolo di Israele in diaspora, come nell'incipit di Velvet Goldmine di Todd Haynes, come verso un'epifania - di un dio il cui attributo è l'ipercinesi, per di più. Poi, certo, ci sarebbe da dire sull'abisso antropologico che si apre in un decennio tra i magnifici freak genderfluid che seguivano il varco aperto tra le acque del Mar Rosso di conformismo borghese dal Mosé-Ziggy e gli inquietanti qualunquisti reaganiani di cui erano fatte le folle oceaniche dello Spider Glass Tour, che Bowie stesso sconfesserà dichiando in seguito come osservasse il pubblico dal palco con disagio perché, per la prima volta, non sapeva cosa pensassero, come vivessero. Un ulteriore attributo divino che passa dalla visione di Moonage Daydream è la capacità da parte di David Bowie di essere perennemente in controllo, di ogni sillaba e gesto, in ogni circostanza (concerto, intervista, situazione mondana) senza mai perdere la grazia, sempre impeccabile. Tradisce qualche esitazione solo quando, interrogato sui rapporti freddi e difficili con la madre, si trova a rievocare l'anaffettività famigliare nella quale è cresciuto.
Se posso indulgere come i ragionieri nel sordido gioco del completismo, mi ha stupito l'assenza della capitale, paradigmatica intervista del 1999 in cui Bowie cerca di spiegare a Jeremy Paxman, che lo osserva con scherno e sufficienza, come internet sia una completa rivoluzione antropologica ancor prima che tecnologica. A fianco di immagini poco e mai viste, in Moonage Daydream trovano spazio video celeberrimi, capisaldi del pensiero di David Bowie. «Se ti senti sicuro nell'area in cui stai lavorando, vuol dire che non stai lavorando nell'area giusta. Spingiti sempre un po' più al largo di quanto pensi di essere capace. Vai sempre dove è un po' più profondo. Quando senti che i tuoi piedi non toccano più il fondo, sei esattamente nel posto giusto per fare qualcosa di eccitante»; l'autodefinizione come "generalista", la prescrizione ispirata a Isherwood di musica e corpo della rockstar come oggetto transizionale, ricetrasmittente e veicolo per osservazioni sull'individuo e la società; il racconto entusiasmante delle registrazioni di Low e della trilogia berlinese, della volontà programmatica e pura, antecedente l'ingresso in studio di registrazione, di inventare una lingua assolutamente nuova con l'appoggio di Brian Eno. Sono solo alcune delle premesse deontologiche che smentiscono, insieme alla considerazione banale che ne sono già stati fatti tanti, la necessità di biopic tradizionale.
Rimangono infine alcune considerazioni tecniche attorno alla fortuna di Moonage Daydream. Proposto come l'ennesimo "film evento" destinato a massimizzare gli incassi con l'esclusività seguendo logiche promozionali da fashion industry, il film di Brett Morgen è restato nelle sale molto più a lungo dei pochi giorni inizialmente previsti continuando a riempirle, stabilmente in prima posizione della classifica box office. In tempi di vacche magre (se non decedute) si tratta di una manna caduta dal cielo grazie all'uomo del film quasi omonimo. Circola a proposito una versione neoliberale buona per tutte le stagioni, perché non spiega nulla, ossia l'adagio dal sapore bottegaio: "quando c'è la qualità, la gente viene". Oltre a segnalare l'aleatorietà assoluta del concetto di qualità si possono tentare ipotesi più articolate. Moonage Daydream è un tipo di spettacolo che ha intrinsecamente bisogno della dimensione dello schermo e del sound system possente per un'esperienza piena, non diversamente da un episodio di Star Wars o di una saga Marvel. Appena preso posto, si viene travolti dal flusso agglutinato di suoni e visioni (sic) al modo degli esperimenti musical dei Daft Punk come Interstella 5555. Non si può non ballare sulla sedia. Eppure l'opera di Morgen riesce simultaneamente a rimanere una fruizione intellettuale articolata, profonda e non semplificata, non comprime la complessità filosofica che non si può sottrarre al tipo di artista e pensatore che è stato David Bowie senza, in questo caso sì, tradirlo. Anche qui sta un aspetto quasi miracoloso dell'operazione riuscita, l'indicazione chiara e significativa di un possibile futuro.

I‘M A D.J. (I AM WHAT I PLAY): Maschere ed Alter-ego
“Non riesco a scrivere canzoni per me, allora creo un personaggio per cui scriverle”.
“Il mio principio creativo è una persistente idea di variabilità. Non credo che esista una verità, una verità assoluta.”
«Non continuo a cambiare semplicemente per il gusto di farlo, sono spinto da un’esigenza di cambiamento, anche se gli argomenti rimangono sostanzialmente gli stessi da album ad album.»
“Io sono solo la persona che la maggior parte della gente crede che sia”.
«Nel preciso istante in cui ti senti al sicuro, sei morto. Sei finito. È tutto finito. L’ultima cosa che desidero è sentirmi “sistemato”».
«Penso che non sia altro che il concetto greco-romano di trasformare qualcosa di nebuloso in una personificazione riconoscibile, come una divinità. Sapete, a quei tempi erano in grado di trasformare un complesso di emozioni in un dio. Io mi limito a convertire le idee in persone. È più semplice averci a che fare in questo modo».
FASHION: Contro il Tribalismo
“Mi fa arrabbiare…quando la gente si concentra solo sulle parole, perché questo implica che la musica non è portatrice di un suo peculiare messaggio, il che spazza via centinaia di anni di musica classica. Ridicolo».
“Le mie canzoni sono una costruzione. È piuttosto raro che contengano un particolare significato profondo. O, quanto meno, se ne hanno uno, si tratta di qualcosa di estremamente personale e non mi aspetto che gli altri lo percepiscano o lo comprendano. Non è questo il motivo per cui scrivo canzoni. Mi piace l’idea che siano veicoli che la gente può interpretare o usare a proprio piacimento”.
“Cygnet Committee (1969) era un esempio di come si può usare una canzone per attaccare quelli che non sanno cosa fare di se stessi. Cercare di mostrare alla gente la via da percorrere. Si mettono addosso tutto quello che gli viene detto di indossare e ascoltano la musica che gli dicono di ascoltare. La gente è fatta così».
“Penso che la moda sia una cosa buffa, realmente buffa. Sarà probabilmente il suo carattere di assoluto nonsense a farmela apparire tale. Non dobbiamo seguirla».
THURSDAY'S CHILD: Gnomi e Cani Diamante
«Ero completamente partito per Anthony Newley, faceva delle cose veramente bizzarre qui in patria. Allora ho cominciato a cantare canzoni come le sue. Ma in quel periodo stavo leggendo un sacco di libri della generazione dei Giovani Arrabbiati –Keith Waterhouse, John Osborne e roba del genere –così scrivevo delle strambe canzoni tipo Tony Newley, ma i testi parlavano di lesbiche che vanno sotto le armi, di cannibali, di pedofili e cose del genere”.
«Fin da quando abbiamo cominciato a lavorare sulla storia era venuta fuori l’idea di un Re dei Folletti. David è stata la nostra prima scelta fin dall’inizio e l’idea gli era piaciuta. Quindi tutta la storia è stata scritta pensando a lui». (Jim Henson)
“Il figlio del mercoledì è pieno di sventura, mentre il figlio del giovedì farà molta strada”. (su ‘Thursday’s child’)
«Diamond Dogs implicava ancora il concetto del collasso di una città, una gioventù ostile che dopo la disgregazione del nucleo familiare viveva in bande sui tetti e aveva realmente la città in pugno».
WILD IS THE WIND: Fuga nel Mondo dei Sogni
«La reazione di una ragazza sensibile al mondo dei media. Penso che si senta tradita, che sia delusa dalla realtà e sia convinta che in un luogo imprecisato c’è una vita che vale la pena di vivere e che sia amaramente insoddisfatta per il fatto di non avervi accesso” (su ‘Life on Mars’)
“Lei è veramente esistita?…Tutte le luci si attenuano adesso se penso alla mia vita come a un sogno”. (If I’m dreaming my life, 1999)
“Avevo tanti sogni, ho tentato tante svolte… ma tutto quello che mi rimane è la colpa di aver sognato” (Time, 1973)
“In Drive-in Saturday, le radiazioni avevano intaccato la mente e gli organi riproduttivi della gente, che non aveva più una vita sessuale. L’unico modo per imparare di nuovo a fare l’amore consisteva nel guardare film che mostravano come si faceva prima».
«Ho l’impressione che negli ultimi vent’anni la realtà sia diventata un concetto astratto per una grande quantità di persone. Quelle che la gente considerava verità sembrano essere svanite, e ora si può quasi affermare che i nostri pensieri seguono un corso post filosofico. Ormai non c’è più nulla su cui poter fare affidamento. Nessuna conoscenza, soltanto un’interpretazione dei fatti dai quali sembra che veniamo inondati quotidianamente.” (2003)
I'M A SPACE INVADER: La Fantascienza
“2001: Odissea nello Spazio: ero completamente fatto quando andai a vederlo, diverse volte, e per me è stata un’autentica rivelazione. È come se Space Oddity fosse sgorgata da lì».
“Ziggy viene avvertito in sogno dagli infiniti di annunciare l’arrivo di un uomo proveniente dalle stelle, allora lui scrive Starman; è il primo annuncio di speranza giunto alla gente, che gli si affeziona immediatamente. Ziggy parlava del meraviglioso uomo dello spazio che verrà a salvare il pianeta. Quando gli infiniti arrivano, utilizzano pezzi di Ziggy per diventare reali, dal momento che nel loro stato originario sono anti-materia e non possono vivere nel nostro mondo”
“Con Ashes to Ashes, in realtà stavo facendo un consuntivo degli anni Settanta, soprattutto per me stesso, e mi è sembrato un buon epitaffio – l’abbiamo perso, è lassù da qualche parte, lasciamolo in pace”
“Vi mostrerà il domani/ Vi mostrerà i dispiaceri/ di quello che avete fatto oggi". (Shadow man, 2002)
LADY GRINNING SOUL: La Provocazione
«A quei tempi, in particolare, non era considerato corretto nutrire interessi disparati, ti dovevi decidere: o eri un cantante folk, o un cantante rock, o un chitarrista blues”
“Sono ambiguo e tutto il resto, non riesco a respirare in un’atmosfera convenzionale…trovo la libertà solo nell’ambito della mia stessa eccentricità»
“Sono omosessuale e lo sono sempre stato, anche quando ero David Jones” (1972); “È vero, sono bisessuale” (1976); “Bisessuale? Oh Dio, no. Certamente no. Era solo una bugia. Mi appiccicarono quell’immagine ed io mi ci adeguai piuttosto bene per alcuni anni”; “Ah ah! Non dovreste credere a tutto quello che leggete”
“Il rock si deve prostituire. Se devi lavorare in un bordello, farai bene ad essere la puttana migliore”
“Dio è americano” (I’m afraid of americans, 1997)
SAVIOUR MACHINE: Religione e totalitarismo
“Se tu non fai nulla per questo nostro mondo, vedi, non potrai contare su nessun supporto ai tuoi piani per il futuro o su Dio».
“L’hanno chiamata La Preghiera, la sua risposta è stata la legge”, “Dio è soltanto una parola” (God knows I’m good, 1969)
“Il fatto di credere non significa che debba smettere di pensare” (Word on a wing, 1976)
«Com’era quella cosa che ha detto qualcuno (Neil Gaiman, n.d.r.)? Una magnifica analogia: “La religione è per la gente che crede nell’inferno; la spiritualità è per quelli che ci sono stati”»
“Gli dei hanno dimenticato di avermi creato, così anch’io mi sono dimenticato di loro/ ascolto le loro ombre, gioco in mezzo alle loro tombe" (Seven, 1999).
BREAKING GLASS: La follia
«Le uniche persone che mi interessano sono i pazzi, quelli che sono pazzi di vivere, di parlare, di essere salvati, che desiderano tutto nello stesso momento”
“Non ho mai avuto una visione chiara di quale posizione abbia realmente occupato Terry (il fratellastro schizofrenico, n.d.r.) nella mia vita, se fosse una persona reale o se io facessi riferimento a un’altra parte di me”
“Sei una persona meravigliosa, ma hai dei problemi” (‘Breaking Glass’, 1977)
«Ho usato quella che ritengo sia una citazione di Bertrand Russell, “Non voglio la conoscenza, voglio la certezza”, che mi attirava perché riassume un certo atteggiamento diffuso al giorno d’oggi…Secondo me, la convinzione che continuando a studiare si otterranno le risposte conduce direttamente alla follia… In realtà, quando ti rendi conto che non esistono certezze, ti senti sollevato». (su ‘Law (Earthling’s on fire)’, 1997)
FAME: celebrità ed eredità
«Quando suono The Man Who Sold The World ci sono un sacco di ragazzini che poi vengono a dirmi, “Che figo! Suoni una canzone dei Nirvana”. E io penso, “Andate a farvi fottere, piccoli segaioli!”».
“La posizione che assumemmo in LOW diede una pennellata di colore a tutto ciò che sarebbe accaduto nella musica inglese per un po’ di tempo… specialmente per quanto riguarda i suoni d’ambiente e di batteria. Quel suono “poltiglia” di batteria, quell’effetto da gorilla depresso lanciarono la mania della batteria elettronica per qualche anno».
«All’epoca di SCARY MONSTERS il tipo di musica che facevo stava diventando molto fruibile… era proprio il suono dei primi anni Ottanta. la quintessenza del suono new wave”.
«Non sono sicuro che al giorno d’oggi ci sia ancora molta gente interessata a ricevere qualcosa dalla musica – vogliono semplicemente qualcosa che si senta in sottofondo, mentre sono impegnati a fare altre cose».
I’M NOT A POPSTAR, I’M A BLACKSTAR: la realtà della morte
«La chiesa non entra nei miei scritti o nei miei pensieri; non ho empatia con alcuna religione organizzata. Ciò che ho bisogno di trovare è un equilibrio, spiritualmente, tra il modo in cui vivo e la mia scomparsa. Quel periodo di tempo – da oggi fino al mio decesso – è l’unica cosa che mi affascina».
“Prima di scomparire posso trarre un significato, un senso da tutto questo? C’è un progetto?”
“Guardatemi quassù, sono in cielo. Ho cicatrici che non si vedono. Sarò libero, come un uccello” (Lazarus, 2015)
«Ha fatto ‘Blackstar’ per noi, è il suo regalo d’addio. È da un anno che so che sarebbe andata così. Eppure, non ero preparato. «Ha sempre fatto quel che voleva. E voleva farlo a modo suo e nel migliore dei modi. La sua morte non è stata diversa dalla sua vita, un’opera d’arte». (Tony Visconti, 2016)
NO PLAN: la vita e il caos
«La nostra attesa di una fine o di una conclusione…che ci viene da una cultura costruita su reiterate storie film-narrazioni, provoca in noi una serie di aspettative completamente ingiustificate sulla vita».
«La brama di vita contro la consapevolezza che tutto ha una fine. Vive di questi due elementi in conflitto tra di loro, HEATHEN è più o meno questo. Io amo questo lavoro. Amo questa vita, sono così ingordo che non voglio arrendermi. Non ho nessuna intenzione di mollare. È difficile rinunciare».
«Mi fa arrabbiare il fatto di non poter continuare a fare cose in eterno. Un senso di rabbia è quello che si prova, più di ogni altra cosa”.
“Al giorno d’oggi tutto ciò che riusciamo a creare, tutte le cose a cui diamo una parvenza di verità vengono quasi immediatamente smontate. È tutto estremamente precario. Penso però che l’aspetto positivo di crearsi queste ancore e vederle immediatamente distrutte risieda nel fatto che questo procedimento ci aiuta a comprendere il caos che domina attualmente le nostre esistenze».
“Continuo a battere su qualcosa che mi spaventa terribilmente: la prospettiva che in realtà ogni cosa sia senza significato”. (su “The Loneliest guy”, 2003)
