TRAMA
Un gatto sotto braccio, una serie di porte sbattute in faccia, neanche il becco di un quattrino in tasca: ecco Paula, di ritorno a Parigi dopo una lunga assenza. Incuriosita dalle tante persone che incontra, ha una sola certezza: ricominciare daccapo.
RECENSIONI
Donna in ristrutturazione, ferita (il segno sulla fronte ce lo ricorda), priva di tutto (compagno, casa, denaro, prospettive), incerta dunque sulla strada da intraprendere, Paula sperimenta - tra incontri, occasioni, confronti amari (e violenti) - nuove possibilità di realizzazione di sé. Cronaca di una crisi, ritratto di un passaggio esistenziale privo di coordinate certe, il film si concentra tutto sul percorso di una protagonista incontenibile, animata da un tormento talmente profondo da fare il giro e sfociare agli antipodi, nella commedia. Si segue il suo parlare - un fiume logorroico in piena quella scena iniziale in ospedale - che suona come un monologo anche quando dialoga (in trasparenza si intravede la solitudine), una verbalità che, prima che modalità comunicativa, è rappresentativa di sé; nello sfondo c’è una Parigi empaticamente angosciante («questa città non ama le persone» - e sa essere disumana come poche -), irriconoscibile agli occhi della ritornante Paula, e un quartiere, Montparnasse, che dà al film il suo discutibile titolo internazionale .
Il taglio non è piattamente realistico: la macchina da presa gira con molta libertà, percettiva della materia umana che agita il centro della scena (c’è un rapporto simbiotico che si instaura, in tutta evidenza, tra la lucidità della direzione di Léonor Serraille e la sensibilità dell’interprete Laetitia Dosch) e il montaggio è altrettanto preciso nell’assecondare il mutamento umorale ed esistenziale di Paula. La regia è spigliata e molto felice nel dare pieno risalto alla scrittura, ma quasi senza imporla: al di là delle apparenze, lo script, infatti, costituisce la base forte su cui va a poggiare l’impianto di un’opera che conserva, nonostante ciò, un’apparenza instabile e caotica. Come Paula che, per tutto il film, non consegna mai il suo personaggio a un modello riconoscibile o calcolatamente amabile, rimanendo carattere costantemente cangiante, metamorfico, inafferrabile, in transizione a ogni livello (lecita la lettura anche in termini generazionali: in questo senso il titolo originale, Jeune femme, nella sua universalità, appare di ben altra pregnanza).
Caméra d’or (miglior opera prima) a Cannes 2017.