TRAMA
Il film narra la storia dell’indio Carapiru e il suo viaggio di formazione che lo conduce dal proprio luogo natio fino alla ribalta catodica di Brasilia, e ritorno.
RECENSIONI
Si intuisce fin dalla prima inquadratura che il cinema di Andrea Tonacci non può non iscriversi nella cinematografia brasiliana contemporanea se non come pensiero rammemorante di un lascito severo e fondante come quello del Cinema Nôvo e, parallelamente, udigrudi (underground), esperienze che oltre al côté squisitamente formale hanno insegnato a guardare le cose con altri occhi, a trasformare lo sguardo politico in politica dello sguardo. Schegge di utopia che sono riuscite ad attraversare la carne del tempo per conficcarsi nell’allucinazione del presente, nell’attualità di un Brasile lacerato da diverse anime, soprattutto dall’indifferenza politica delle classi dominanti. Niente di nuovo sotto un sole che illumina le lunghe peregrinazioni dell’indio Carapirù nel sottobosco della foresta amazzonica o per le strade di Brasilia alla ricerca di un’identità per se stesso, per un popolo e, forse, un intero Paese. È la meraviglia estenuante delle interminabili riprese in piano sequenza nel fondersi di realtà e finzione pieno di sapore rochano, delle inquadrature allo stesso tempo aurorali e apocalittiche, herzoghiane dunque, a restituire il retrogusto di verità e dolore alla storia narrata da Tonacci, quel sospendersi nel tempo di un gravoso cammino di nascondimento, di fuga, di riconoscimento in uno spazio e in un suolo resi irriconoscibili, per ritrovare tutta la sofferenza di una rimozione della Storia, nel disorientamento generato da uno sradicamento culturale imposto da una perenne politica del disordine, e della prevaricazione razziale.