Animazione

MONSTERS UNIVERSITY

TRAMA

La vita universitaria di Mike e Sulley, futuri spaventatori.

RECENSIONI

La Pixar si conferma in fase di stallo. Dopo l'autocelebrativo Toy Story 3, che chiudeva una trilogia (con Wall*E e UP) non tetragona ma sicuramente ambiziosa e con alcuni Zenit 'interni' indimenticabili, abbiamo avuto il Nadir di Cars 2, l'atipico (in senso pixariano) The Brave e ora questo Monsters University, che prende (altro) tempo. Lo fa con una certa classe, c'è da dire. Il film di Scanlon, prequel dello storico Monsters&Co., è operetta agile e frizzantina, scritta con  scaltrezza post-postmoderna, simpaticamente autoreferenziale, solida e metronomica nel suo incedere sicuro. Si ride. Lo humour è fintamente ingenuo, sovente declinato allo slapstick (la'“corsa dei ricci'), cinefilo senza troppi orpelli (il campus movie americano) ed efficacissimo, con figure di contorno tratteggiate con squisito gusto dell'assurdo (la tranquilla housewife appassionata di Death Metal). Per tacere del comparto tecnico ineccepibile, che ormai va considerato un pre-requisito.

Ma tutto è friabile, leggero, volatile. Un divertissement di alta scuola, che non si prende rischi ma si prende il lusso di giocare coi propri cliché di riferimento; si veda il finto finale conciliatorio ('Sulley convince Mike che sa spaventare e Mike sa spaventare') al quale segue un'apparente svolta assai meno buonista ('Mike non sa spaventare, Sulley ha imbrogliato per vincere e i due vengono espulsi dall'Università') per poi chiudere in odore di Sogno Americano (la strana coppia che parte da zero per poi fare carriera alla Monsters&Co.). 104' che scivolano via comodi e allergri, senza troppe pretese ma pieni di intelligenza e ironia. Bene. Ma dalla Pixar, ormai, ci si aspetta qualcosa in più. Lo scarto di livello. Il 'Momento Federer' dell'animazione digitale. Sia esso un inopinato shock narrativo teoricamente patetico ma virato al poetico (l'incipit di Nemo, pesciolino disabile al quale un barracuda mangia la madre e tutti i fratellini/uovo), un picco emotivo multigenerazionale (il finale di Toy Story 3) o una lezione di racconto per immagini da tramandare ai posteri (la prima metà di Wall*E, i quattro, stupefacenti minuti di UP nei quali si racconta la vita matrimoniale di Carl ed Ellie).

L’ultima Pixar non sembra neanche provarci, a “osare”. The Brave era paurosamente convenzionale (meta-disneyano forse, para-dreamworksiano di certo), Monsters University, ribadiamo, un ottimo, divertente, riuscit(issim)o prodotto minore. Ora rivorremmo un po’ di coraggio. E magari il filmone, ecco.