Drammatico

MONA LISA SMILE

TRAMA

1953. Katherine Watson, giovane insegnante di storia dell’arte, ottiene un incarico al Wellesley College, una delle più rinomate scuole femminili della East Coast.

RECENSIONI

Una battagliera californiana (id est progressista, ci mancherebbe altro) approda in una finishing-school (a stento) travestita da università d’alto bordo: cercherà, a dispetto di genitrici ossessive e (f)rigide istitutrici, d’insegnare alle belle, inappuntabili, saccenti alunne che la vita non si può ri(con)durre a un bucato più bianco del bianco (e nero). Newell pesca spensieratamente da L’ATTIMO FUGGENTE (la scuola-convento, con l’entrata delle studentesse-postulanti all’inizio dell’anno accademico, l’arte moderna – visiva, in questo caso – come base di un’autocoscienza critica, l’addio finale con le biciclette al posto dei banchi), IL PRESTANOME (i credits conclusivi si succedono su immagini all American simili a quelle mostrate nell’incipit del film di Ritt) e FAR FROM HEAVEN (la soffocante ansia di perfezione della borghesia di provincia) per rianimare un film la cui piattezza è eguagliata solo dalla mestissima furbizia di cui è intriso. Miscelando con poca fantasia ammuffito sentimentalismo e trasgressioni light (fumo, condom, un tocco di lesbismo), MONA LISA SMILE pretende di spiccare la trita maschera delle convenzioni dal volto imbellettato quanto devastato dell’America che fu (ed è tuttora?) ma finisce per dissimulare quello stesso viso disfatto tramite un nuovo, (più) insinuante velo di pretes(tuos)a sincerità. Joan rinuncia a un dottorato a Yale per sposarsi? niente paura, lo fa perché ama il fidanzato, non per le costrizioni sociali: la falsa coscienza ha vinto un’altra mano. La sgraziata e triste Constance non trova un uomo che se la fili? Tranquilli, lo troverà presto (cessando, ovvio, di essere triste). La scaltra e disinvolta Giselle? Una brava ragazza, disposta a farsi insultare – a scopo terapeutico – da una collega sfortunatamente maritata. La stessa Katherine si proclama pentita di avere spronato le ragazze a essere come lei, anziché incoraggiarle a seguire il cuore, e se il cuore (rivelatore, al solito) ordina di rinunciare alla vita per assicurare il polpettone del giusto, così deve essere. Al di là del livello tramico (non indispensabile, certo, ma piuttosto rilevante in un film che proclama a denti spiegati un anticonformismo a tal punto conformista da risultare avvilente ossimoro), MONA LISA SMILE ha tutti i difetti tipici del fumettone in costume: scenografie pompose, bella gente (non poi così) ben vestita e pettinata, colori pastello, musiche d’epoca (sempre le solite), personaggi a una (e sciatta) dimensione, dialoghi predigeriti, scene chiave d’inamidata inconsistenza (la scoperta dei dipinti di Pollock non stonerebbe nel famigerato biopic di Ed Harris), finezza assente (il verboso attacco alla pubblicità, specchio deformante della vita femminile), regia svaporata. Il quadro d’insieme è un penoso spreco di abilità recitative (Julia Roberts, quando tiene a bada gli incisivi, dà prova di apprezzabile espressività e Maggie Gyllenhaal, già perfetta SECRETARY, è radiosa) e un interminabile commercial del Wellesley College, dal 1875 imperturbato faro di cultura (e haute couture?) nei verdi pascoli nordamericani.

MLS al Wellesley College:
http://www.wellesley.edu/Admission/about/MLSfinal.html