TRAMA
Moloch racconta una giornata di vita (1942) di Hitler in compagnia di Eva Braun, Joseph Goebbels e moglie, nel buon ritiro sulle Alpi Bavaresi. Eva cerca invano un riscontro amoroso nel suo freddo amante.
RECENSIONI
Una fortezza affogata nella nebbia e le marionette del potere mosse dai fili di una banalità atroce perché intrisa di morte e ottusità. Figure grottesche e raggelate in un paesaggio quasi onirico, di nuvolaglia squarciata dal sole; impasti di colore, luci soffuse, un verde smeraldo che incornicia una lugubre scala: Hitler e la sua piccolezza, omuncolo ipocondriaco, piagnucoloso, infantile, una superba nullità.
Eva: Non sapete stare solo. Senza un pubblico davanti a voi siete soltanto un cadavere.
La compagnia si diverte, balla, scherza, si odia e disprezza dietro la cortina di meschina ipocrisia, di viscido servilismo.
In questo spaccato agghiacciante, lampi di cinema sublime: le due donne vicine, dietro di loro lo schermo che celebra il vacuo splendore nazista, gli esercizi ginnici di Eva nuda sulle mura del castello, ancora Eva, alla fine, fantasma evanescente che si dissolve in un emozionale, supremo attimo.
Un altro pittore su celluloide, un altro seguace della rappresentazione dello spazio fisico in forme e colori, un altro lungo brivido dopo il capolavoro Madre e figlio. Specchi deformati, contorni sfumati, profili rigorosi: il fotogramma come una tela, superficie da incidere e dipingere; e in un trionfo estetico pari soltanto al genio di altri due artisti amatissimi (Ruiz e Greenaway, naturalmente) Sokurov fa a pezzi il moloch, il colosso Hitler si sgretola sotto i nostri occhi.
