TRAMA
Tra febbraio e aprile 2020 il regista è rimasto bloccato a Venezia a causa della diffusione del coronavirus e delle conseguenti misure di quarantena nazionale. Venezia è la città che ha ospitato e che ospita molti dei suoi progetti lavorativi, era la città di suo padre, una città complessa sotto molteplici aspetti. Questa pandemia ha “congelato” e svuotato il capoluogo veneto, riconsegnandolo alla sua natura e alla sua storia, ma anche – a livello personale – alle memorie familiari del regista. Riemerge così il legame con il padre veneziano, scienziato chimico-fisico e vero protagonista del film, morto dieci anni fa. Si mescolano in questo modo l’isolamento della città e quello più intimo e personale dell’autore.
RECENSIONI
Scelto come evento di preapertura alla 77ª Mostra internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia nell’anno della pandemia, Molecole è quanto di più contemporaneo si possa avere per far ripartire il mondo dei festival dopo il temporaneo arresto del mondo del 2020.
Nato dall’esigenza per Andrea Segre di confrontarsi filmandola con Venezia - la città di suo padre Ulderico, trasferitosi in seguito a Padova, città natale di Andrea - e come progetto sul turismo e l’acqua alta, le due grandi tensioni della Venezia di oggi, Molecole è un esempio folgorante di opera in divenire.
Segre, rimasto bloccato in casa di parenti a Venezia durante il lockdown, coglie l’occasione per mettere mano ai vecchi Super8 e alle fotografie del padre, affrontando il silenzioso rapporto padre-figlio che aveva con Ulderico, scomparso ormai 12 anni fa. Oltre ai documenti visivi Segre mette mano alla corrispondenza epistolare che intratteneva con il padre, punti d’accesso alla memoria che racconta, sotto forma di voce narrante, in prima persona.
Al tema della memoria si aggiungono però le immagini di strabiliante attualità di una Venezia inedita, deserta, la Venezia del marzo 2020, non più infestata da turisti e scossa dal moto ondoso, bensì quella dei canali del bacino, del Canale della Giudecca, senza un’onda, vuoti, nei quali Segre, solo con la sua macchina da presa, si fa accompagnare in gondola da due autoctone canottiere. Segre trova nelle immagini di una Venezia pacifica e silenziosa il corrispettivo di uno stato d’animo, la tranquillità e il calore di un rapporto silenzioso contenuto in uno sguardo che sviluppa a partire dalla disamina di una fotografia scattata da suo padre allo specchio che li ritrae insieme. Segre stratifica gli sguardi: Ulderico-Venezia, Andrea-Venezia, Ulderico-Andrea, integrando nella dinamica lo spettatore, rendendolo partecipe tra i rimandi di sguardi al limite della camera e trovando proprio nello sguardo, interiore ed esteriore che coincidono, il collante a tutto il progetto. Nella solitudine di Venezia Segre si confronta con l’assenza - quella dei passanti nella città, quella del padre per lui - e approfitta della pausa temporanea imposta dal mondo per fermarsi e riflettere sul passato sfruttando al meglio il suo presente.