Commedia, Recensione

MIO FRATELLO RINCORRE I DINOSAURI

NazioneItalia, Spagna
Anno Produzione2019
Genere
Durata101'
Trattodall'omonimo romanzo di Giacomo Mazzariol
Fotografia
Scenografia

TRAMA

Gli equilibri di una famiglia padana cambiano quando alle due sorelle e al piccolo Jack si unisce l’ultimo arrivato Gio che ha la sindrome di Down.

RECENSIONI

Ci sono film che vanno presi per quello che sono. Il rischio è infatti quello di caricarli di aspettative personali e di perdere per strada l’obiettivo che si sono posti e che sono in grado di raggiungere, anche se in modo imperfetto. È il caso dell’opera prima di Stefano Cipani, costruita con il chiaro intento di divertire e sensibilizzare. Il film è la trasposizione dell’omonimo romanzo autobiografico di Giacomo Mazzariol, un vero e proprio caso editoriale, molto amato dagli adolescenti e quasi un must nelle scuole, dove è tra i più diffusi e letti. Quello che il film sembra cercare, e in parte riesce a trovare, è una complicità con lo spettatore attraverso l’intreccio delle dinamiche di un nutrito nucleo familiare con il percorso di formazione del giovane Jack, prima bimbetto e poi ragazzino, alle prese con la fatica di crescere. La sua vita cambia radicalmente quando alle due sorelle maggiori si unisce un fratellino, il piccolo Giovanni detto Gio, che nasce con la sindrome di Down. La sua peculiarità viene vissuta e trasmessa a livello familiare come qualcosa di speciale, e infatti Jack all’inizio lo vede come un supereroe ed è affascinato dalla sua capacità di distinguersi dagli altri e di fare cose originali. Crescendo, però, le cose cambiano. Il confronto con il mondo esterno accentua infatti paure e insicurezze e il bisogno di essere accettati passa attraverso la necessità di omologarsi alla maggioranza e di rendersi il più possibile “normale”, quindi invisibile.

Impegnativo, con questa percezione della realtà, fare posto all’esuberanza fuori controllo di Gio e così Jack arriva a negare l’esistenza del fratello down fra i nuovi compagni di scuola raccontando che è morto. Il timore è quello di finire tra gli esclusi, di essere emarginato, preso in giro, di non conquistare la ragazza che gli piace. Il tutto filtrato dal suo punto di vista, voce narrante e sguardo attraverso cui osserviamo con verve e ironia lo svolgersi della vicenda. L’aspetto più interessante dell’opera non è tanto il messaggio a favore della diversità, posto in modo non così problematico e a stretto confine con lo slogan, quanto il percorso di crescita di Jack che fa una scelta sbagliata, da cui non può tornare indietro, e deve assumersene la responsabilità e affrontarne le conseguenze. Tutto molto pedagogico, lineare e messo in scena senza troppe sfumature, ma anche scorrevole e immediato. Peccato per alcune eccessive semplificazioni (Gio viene visto a senso unico e le problematiche familiari sono tutte allegramente sormontabili), approssimazioni (la recitazione e il tono dei dialoghi, soprattutto degli adulti, finalizzati alla gag) e per una scansione delle immagini un po’ televisiva. Il film però arriva dove vuole arrivare: dritto al cuore. Lanciato come il Wonder italiano, ne condivide in parte la tematica (essere diversi in un mondo di uguali) ma non ne ha la grazia e l’equilibrio.