Commedia

MIO FRATELLO È FIGLIO UNICO

NazioneItalia
Anno Produzione2007
Genere
Durata100'
Tratto daliberamente dal libro di Antonio Pennacchi
Montaggio

TRAMA

Liberamente tratto da ”Il fasciocomunista” romanzo di matrice autobiografica di Antonio Pennacchi, la vita scriteriata di Accio Benassi, il seminario, la tessera dell’MSI, lo scontro con il fratello comunista, la conversione ai colori rossi, il sesso e l’amore, il rapporto con la morte, il futuro.

RECENSIONI

Affrontando la Storia come questione privata, la scelta politica come proiezione dell’idea di sé più che dell’ideale in sé, il trio Luchetti- Rulli- Petraglia si dà al racconto di formazione applicandolo a tematiche care, decentrandole, immergendole in una dimensione provinciale, in tutti i sensi attribuibili all’aggettivo. Il risultato è profondamente contraddittorio: facendo aderire la materia al punto di vista del protagonista il film restituisce del contesto una visione soggettiva, funzionale alla costruzione psicologica del personaggio, ma a rischio banalizzazione, trovando con discontinuità il compromesso tra lo stereotipo e la retorica dell’antiretorica, poli a cui tra l’altro è disposto a cedere in nome dell’ironia. Ciò che ne deriva è la definizione di un personaggio fedele a sé stesso (si veda l’emblematico finale, il campo/controcampo tra un Accio adolescente e quello adulto) più che a qualsiasi ideologia o strumentalizzazione ideologica, delineato più dal modo di comportarsi di fronte agli eventi che non dalle abituali (almeno nel cinema italiano) derive spiegazionistiche: la stessa mdp si spinge continuamente verso il primo piano, tentando di cogliere, nei volti non sempre disponibili di attori frenati spesso da una sceneggiatura troppo invadente, la verità di un espressione, l’inesplicabilità di un carattere in un segno. Si scontrano due istanze, in un processo dialettico irrisolto: affidata saltuariamente alla voce narrante del protagonista, la narrazione, declinata al passato, sembra riconducibile alla modalità di rielaborazione della realtà effettuata nell’atto di ricordare, fatto che giustificherebbe anche qualsiasi residuo bozzettistico, mentre la mdp sembrerebbe prediligere, all’ espressionismo insito in questo processo, un approccio alla realtà molto più libero, aperto alla possibilità. La mancanza di radicalità delle scelte immerge però l’opera in un’aura difficilmente eludibile di incompiutezza, dove l’appena svelata scissione tra narratore e autore implicito, non trovando un adeguato compromesso, o la forza di uno scontro costruttivo, diventa assimilabile più agli aspetti deteriori che a quelli di interesse, disperdendosi nel limbo di sconclusionata medietà in cui sembra avvolto il film.
Ci pare comunque un tentativo di andare oltre le logiche regressive del cinema italiano, un tentativo forse timido nei risultati, sfacciato nell’ammicco allo spettatore, ma comunque più vitale, nelle contraddizioni che inscena e in quelle di cui si fa portatore, del piattume generale che lo circonda.

Il pieno fallimento del lavoro di Luchetti è tutto nella sua volontà di spiegare.
Chiarito questo punto, va detto che la prima parte passeggia sul ritmo lieve della commedia e presenta il volto migliore del classico film di rivisitazione; dopo I piccoli maestri (wow) sulla Resistenza, l'amico di Nanni Moretti passa direttamente ai '60/70 (è lecito attendere a breve una pellicola sugli anni '80, poi '90 etc.) e modula il registro popolare per dire appena due o tre cosette pressoché prive di interesse. La facile contrapposizione fascisti/comunisti, l'ansia di riempire squarci di stento monetario con fermenti di ricchezza ideologica, le degenerazioni delle rispettive fazioni, l'eversione nera e il terrorismo rosso, la comparsa delle prime Br che sparavano alle gambe; tutto questo declinato nella stessa famiglia (per la produzione cinematografica nazionale il focolare è fissazione, chiodo fisso, croce e disastro) che seguiamo per ordinata progressione cronologica condita da ellissi. Tutto vero, ribadisce il regista: nel nostro Paese, durante quegli anni, accaddero sul serio queste cose. Ha ragione: non è detto, però, che in virtù della fida adesione storica la faccenda regga anche alla prova drammatica. E' altamente improbabile, infatti, che tale centrifuga di scontri convogli in sole quattro mura (un fratello di destra, l'altro di sinistra - Luchetti confessa di aver calcato la figura di Manrico, appena minore nel romanzo di Pennacchi, per sviluppare maggiore contrapposizione e, aggiungo io, enfatizzare il conflitto- ), che la prole si innamori della stessa donna, che alla latitanza corrisponda la lotta armata, che uno tiri le cuoia e l'altro la faccia franca' Nello specifico, il messaggio di Mio fratello è figlio unico è chiaramente il seguente: in Italia la politica ha conosciuto le sue deviazioni, ha portato violenza e morte ma, nonostante tutto, è IMPORTANTE continuare a farla. Si spiega così l'azione conclusiva di Accio Benassi che, ormai segnato dal lutto, si fa promotore di un comitato per la giusta occupazione di case popolari. Capito?