Animazione, Recensione

MILLENNIUM ACTRESS

Titolo OriginaleSennen joyu
NazioneGiappone
Anno Produzione2001
Durata87'

TRAMA

Un’intervista-documentario a Chiyoko, anziana attrice del cinema, racconta i suoi ricordi attraverso i quali rievoca le vicissitudini storiche del Giappone.

RECENSIONI

Il giovane Kon Satoshi, nome di punta della "Mad House", tra i più importanti studi di animazione nipponici, firma un progetto molto ambizioso: abbinare in modo originale le memorie di un'attrice, grande stella del passato, con la storia del Giappone. Lo stratagemma narrativo alla base del film prevede l'intervista di un attempato giornalista, accanito fan della diva, accompagnato da un giovane operatore più disincantato. I due non si limitano a porre domande, ma accompagnano la protagonista nei suoi ricordi, interagendo in più di un'occasione con l'azione. Il tocco metafilmico è, all'inizio divertente e fantasioso, ma presto gli episodi si succedono seguendo uno schema che tende a ripetersi, senza conferire al racconto una vera e propria progressione. Realtà e finzione cinematografica (dei film nel film) si fondono in un tessuto visivo dove la vita dell'artista è interpretata dai personaggi a cui lei stessa ha dato vita, in un continuo gioco di rimandi tra intimità e storia. Il fil-rouge è l'inseguimento dell'amore, perno della romanzata biografia dell'attrice, incontrato di sfuggita in giovane età e sempre e solo sfiorato. Unico segno tangibile, una chiave, lasciata dall'amato e destinata ad aprire la "cosa più importante che ci sia". A una sceneggiatura affascinante, ma incapace di imprimere reale vitalità ai protagonisti, si affianca una tecnica superlativa. È subito evidente un grande gusto nella composizione delle immagini, in perfetto equilibrio tra i vari elementi di cui sono composte e nell'interazione con i fondali; così come risaltano le scelte cromatiche, la cura dei dettagli e la dinamicità di ogni sequenza. La sensazione è di una regia che spennella l'evolversi degli eventi. Peccato che l'intrigante progetto scivoli nella convenzionalità di personaggi e situazioni, limitando la portata del non banale discorso sulla memoria come bene prezioso da tutelare e, conseguentemente, la resa espressiva del risultato finale.