TRAMA
La giovane Mia è costretta a lasciare Londra per il Sudafrica, dove i suoi genitori hanno deciso di gestire un allevamento di leoni. La ragazzina non è per nulla felice del cambiamento e fatica ad ambientarsi, fin quando arriva un raro cucciolo di leone bianco.
RECENSIONI
Girato da un documentarista, Gilles de Maistre, autore anche del soggetto, Mia e il leone bianco è un film per famiglie il cui successo ha superato largamente le attese. Nel filone “bambini e animali”, sorrisi e lacrime, con impronta militante nella difesa della fauna.
Tutto inizia in una stanza moderna, fornita degli strumenti tecnologici ormai di uso comune anche tra i giovanissimi; la protagonista è in videochiamata con un coetaneo, poi esce per andare a scuola accompagnata dalle più classiche raccomandazioni genitoriali. A questo punto esplode a sorpresa l’Africa, con tutta la forza del contrasto rispetto al mondo a cui siamo abituati e che eravamo stati indotti ad aspettarci. Le riprese sono da questo momento in poi pronte a valorizzare lo scenario naturale, a seguire le emozioni trasmesse dagli animali con espressioni e movimenti, senza però inventare o spiazzare mai lo spettatore.
La giovane protagonista viene presentata in crisi ed in cerca di qualcuno con cui condividere quel che prova. Mia sembra odiare l’Africa in cui vive da solo un mese, sradicata contro la sua volontà dalla scelta di madre e padre, risentita, non adattata, demotivata - non ha amici, litiga a scuola, presumibilmente ha perso un amico/fidanzatino lasciando l’Inghilterra.
Non considera l’allevamento casa sua. Anche suo fratello ha non pochi problemi, soffre di ansia ed attacchi di panico. Solo la nascita di un leone bianco riesce a toccare entrambi e, quando il cucciolo sceglie Mia come compagna di giochi, le riaccende l’esistenza. Da qui, seguendo la crescita del leoncino e del suo rapporto con la ragazzina, si sviluppano i conflitti sempre maggiori legati alla loro inusuale convivenza.
La pellicola prova ad esplorare alcuni temi cardine del dibattito animalista e non solo: se un animale selvaggio possa essere amico dell’uomo, se ed in che modo esseri viventi possano essere oggetto di business. Prima dei titoli di coda si esplicita la denuncia ad un sistema formalmente legale ma destinato a provocare, nel tempo, lo sterminio dei leoni. La pellicola si chiude con un vero e proprio appello contro la caccia “in gabbia” dei leoni, ormai a rischio, esplicitando così la sua vocazione.
Nel suo intento di sensibilizzazione, questo film, a suo modo militante, si pone a metà strada tra la favola e la realtà. La leggenda del leone bianco, narrata dalla mamma, rafforza la dimensione fiabesca. Per entrambi i fratelli gli animali sono gli unici amici, esseri salvifici che regalano serenità.
Se ambientazione e tenerezza sono fattori vincenti, quel che meno funziona sono i meccanismi di raccordo che determinano snodi, crisi e scene madri di una storia già evidentemente dilatata fin troppo. Lo sciocco incidente del fratello, la scoperta della disobbedienza al padre, la macchietta del socio disgustoso sono tutti elementi prevedibili e poco convincenti, quando non poco rispettosi del pubblico. Passi che la protagonista a 14 anni guidi attraverso il paese con un leone al seguito, meno le soluzioni raffazzonate ed incoerenti.
Anche preso come film per famiglie/bambini la contrapposizione tra disincanto adulto ed idealismo giovanile viene presentata in modo già visto e stucchevole - si pensi a come il padre sottolinea, troppo esplicito, che il Sudafrica è così e non si può cambiare il mondo, e poi nella scena finale si ricrede e dà ragione alla figlia. Meglio poi i toni avventurosi di alcuni punti che quelli melodrammatici e patetici, che pesano soprattutto sulla parte conclusiva.
Gli elementi meritevoli di segnalazione sono pochi. Su tutti la rappresentazione di un padre che non si riscatta che in minima parte (lo scudo fatto in extremis al leone, dopo le ripetute suppliche della figlia), il cui rapporto con la figlia non si scioglie - non sembra poter bastare un abbraccio di sollievo sul finale. Madre e padre restano esclusi dal cerchio della fiducia, a cui è ammesso solo il fratello, in virtù della sua spiccata sensibilità, e non solo per incomprensioni e conflitti prettamente generazionali. La contrapposizione tra infanzia ed adolescenza ed età adulta è un tema classico, ma raramente si vede una ragazzina puntare il fucile verso il proprio padre. Non sembra maggiore la fiducia verso la madre. Di fatto sono proprio loro i cattivi della storia, non perché comprensibilmente preoccupati dalla frequentazione troppo ravvicinata con un leone, bensì perché attivamente agiscono per la sua soppressione. Anche il trauma del figlio, si scopre, è originato da un atto contro gli animali compiuto proprio dal padre. Si nota, dunque, come un film per famiglie rappresenti invece, a ben vedere, una famiglia tutt’altro che in sintonia.
Complessivamente la visione di Mia e il leone bianco è allietata da alcune belle riprese e dalla tenerezza del legame tra uomini ed animali, ma è difficile trattenere l’insofferenza per passaggi implausibili e lacrime facili.
Nota a margine, Melanie Laurent è un’attrice che sarebbe stato bello vedere più spesso in questi anni; al personaggio del padre tocca invece l’interprete meno convincente.