TRAMA
Il giornalista John Kelso è a Savannah, Georgia, per un articolo sulle popolari feste di Jim Williams, abbiente locale che, però, resta coinvolto nell’omicidio a sfondo sessuale di un suo dipendente.
RECENSIONI
Il nonsense del cane invisibile portato a spasso dal maggiordomo, fra apparenza e verità, racchiude l'anima di un Sud in cui accadono le cose più strane, sfoghi cutanei di una realtà ipocritamente ignorata. "L'uomo delle mosche" e la "strega voodoo" sono le manifestazioni più bizzarre di un mondo di Oz che Eastwood canzona e ferisce, senza illudersi di poterlo cambiare, perché, come l'iter processuale insegna, la giustizia non è prerogativa dei vivi e "La verità è nell'occhio di chi guarda", può essere raggiunta con la menzogna (anche la polizia giura il falso) o allontanata dal pregiudizio. Non ci sono integerrimi paladini del Bene e recidivi criminali, né si può pretendere che gli scheletri nell'armadio gettino la maschera del simulatore. Solo l'energia che lega i vivi ai morti è in grado di rimettere in linea i piatti (Bene/Male) della bilancia dell’equità: se i vivi ricercano la verità in un'aula di tribunale, i morti gridano vendetta dal "giardino" in cui sono seppelliti. Cinici, caustici ed ellittici, Eastwood e lo sceneggiatore di Un Mondo Perfetto Jack Lee Hancock (che fa miracoli per rendere narrativo il best seller in forma di saggio e diario di John Berendt) sollevano temi affascinanti con un fare esoterico e sotterraneo che ben si specchia negli umori della realtà rappresentata, non senza perdere mai il difficile controllo di una materia in bilico fra l'ironia della forma e la drammaticità del suo contenuto. Se il personaggio di John Cusack vaga con le lacune nel cuore e nella mente per scoprire che le risposte non esistono, non più facile è il cammino dello spettatore cui non è dato sapere in modo esasperato. D'altro canto, nel momento in cui Eastwood glissa di meno e s'incanala nel solito dramma giudiziario, il film perde molto del suo appeal, nonostante sia palese che al regista non interessa il meccanismo di genere ma i caratteri che lo mettono in atto: nel momento in cui la pellicola inizia a far pesare la propria lunghezza e il proprio (voluto) smarrimento, entra in scena un travolgente The Lady Chablis, travestito di Savannah, che divora in un solo boccone perbenismo, formalità dei concittadini e rimostranze dello spettatore. È forse l’unico ad insistere per mostrare cosa si nasconde "sotto", al contrario di chi sa del travestimento (vedi la scena allegorica del dipinto) ma non ci tiene a scoprirlo.