
TRAMA
Amir e Sara stanno per trasferirsi a Melbourne per continuare i propri studi. Nelle poche ore che li separano dal volo i due dovranno fare i conti con un evento tragico che rischia di sconvolgere la loro vita.
RECENSIONI
Concentrato teatralmente in un appartamento, facendo coincidere tempo reale e tempo narrativo, Melbourne è un film che rappresenta una situazione limite che porta i protagonisti di fronte a un finale dilemma morale. Il macguffin è la partenza imminente: marito e moglie stanno per lasciare l’Iran per l’Australia e attendono alle ultime incombenze per chiudere definitivamente la casa; si sta dispiegando innanzi a loro un futuro colmo di opportunità. Tutto quanto avviene nella frazione di tempo rappresentata è dominato dall’imminenza della partenza, dalla premura per le ultime cose da fare, dal miraggio dell’aereo che porterà Amir e Sara in un altro continente. Si comprende gradualmente che la bambina che dorme in camera da letto non è la loro, ma di una vicina, e che Sara ha accettato di tenerla per qualche ora, tempo necessario alla madre per sbrigare alcune faccende. La scoperta della morte della piccola fa entrare la coppia in un incubo. Le continue invasioni del campo scenico (le persone che bussano al citofono e alla porta) sono contrattempi che complicano la situazione e mettono i protagonisti in difficoltà, costringendoli a escogitare soluzioni istantanee: esse riecheggiano, se declinate su registro umoristico, certi paradigmi da commedia classica americana (l’intero film potrebbe essere ribaltato in chiave brillante: si pensi soltanto al bimbo nella valigia). Tali contrattempi sono molto ben scanditi, così come acuto suona il modo in cui il film gioca sull’indagine del momento della morte del bambino, mettendo in evidenza tutte le eventualità e i potenziali sviluppi a seconda dell’ipotesi prescelta. Anche la modalità escogitata per stabilirlo con certezza è un colpo d’ala dello script. La risoluzione del dilemma, trovata imboccando la strada più facile ed egoistica, ovviamente apre un interrogativo enorme sul futuro della coppia: il titolo, Melbourne, rappresenta appunto quell’avvenire, che parte da una base già così pesantemente corrotta. Sull'onda del cinema realista che si fa sottilmente metaforico, tipico di Farhadi (soprattutto About Elly; Payman Maadi era il protagonista di Una separazione), il film, pur mettendo in campo una serie di elementi e disvelandoli gradualmente secondo la tecnica narratologica del suddetto mentore, non riesce a staccarsi da quella coscienza meta, che è propria di tutta la cinematografia iraniana, per cui l'azione risulta dettata più dall'ossequio a una dinamica che a una ragione coerente con le motivazioni dei personaggi, suonando inevitabilmente costruito in eccesso, frutto di un artificio di scrittura dietro l'altro. Se la concezione del meccanismo narrativo è piuttosto sofisticata e determina un considerevole carico di aspettative, il soggetto fin da subito denuncia alcune palesi forzature che indirizzano sfrontatamente gli accadimenti verso le svolte più significative: la scoperta della morte della bimba conduce, ad esempio, immediatamente e senza alcuna congrua ragione, la moglie a sospettare del marito, creando tra i due quell'attrito continuo che è la base dei successivi sviluppi e delle conseguenti decisioni sui comportamenti da tenere e le scelte da adottare; l'accumulo di bugie che ne consegue è anch'esso artefatto: la situazione tende sì ad incastrare i protagonisti, e a creare inevitabile suspense, ma non ci si libera dalla sensazione che siano i protagonisti ad ingarbugliare volutamente le cose per far puntare la storia verso il vicolo cieco finale, evidente obiettivo primario della sceneggiatura. Queste rigidità fanno dell'opera di Javidi, esordio sicuramente interessante, un film riuscito a metà.
