TRAMA
Taipei: due cugini poco più che adolescenti si trascinano di giornata in giornata, arrangiandosi con qualche lavoretto non esattamente legale. Finchè una pistola e un proiettile non finiscono nelle loro mani
RECENSIONI
L’universo di Wei e Jie è dominato dalla violenza, sia essa verbale del padre del primo – animale ferito che scalcia senza voler realmente colpire nessuno – o fisica delle varie bande che scorrazzano in una città in cui la legalità non sembra essere un’opzione per la sopravvivenza. Le aspettative di riscatto dei due giovani non sono legate ne’ alla società ne’ alla religione: Jie vive filtrando lo squallore con i suoi giochi di prestigio, reali o immaginari, cercando di convincere se stesso e gli altri della possibilità di vedere diversamente, di trasformare la realtà in altro. E’ un cosmo ripiegato su se stesso, impossibile da fuggire, da respingere; la sua chiusura è inviolabile come le leggi del corpo, che portano l’introverso Wei a vomitare in ogni situazione di paura, e la sorella a morire di leucemia, lentamente e passivamente fino alla crisi finale. Crisi che coincide all’emissione della sentenza sulle vite dei due piccoli, diversissimi, amici, che hanno giocato con un meccanismo più grande di loro e ne sono rimasti irreparabilmente schiacciati. La loro aggressività ormonale, la loro incoscienza giovanile, la loro ribellione alla catena li condanna prima ancora che loro se ne rendano conto. Una pistola ed un proiettile, ecco tutto quello che serve alla loro distruzione; anzi, l’ironia del cinema si fa ancora più spietata e rende superfluo il proiettile. Non c’è redenzione in questa vita per le due fragili creature, che, in un finale bello da mozzare il fiato, vengono beffati dal fato, che li fa ripercorrere gli ultimi minuti delle loro brevi vite offrendo loro nuove opzioni, ma riconducendoli irrimediabilmente allo stesso risultato. In fondo, cosa siamo tutti se non pesci in un acquario?
