Drammatico

MAY DECEMBER

Titolo OriginaleMay December
NazioneU.S.A.
Anno Produzione2023
Durata113'
Sceneggiatura
Scenografia

TRAMA

Vent’anni dopo la loro famigerata storia d’amore sui tabloid, Gracie e Joe cedono alla pressione quando un’attrice hollywoodiana entra nella loro casa per fare delle ricerche per un film sul loro passato.

RECENSIONI

Per prepararsi al suo nuovo ruolo, Elizabeth (Natalie Portman) si confronta direttamente con Gracie (Julianne Moore), la donna che interpreterà sullo schermo e la cui vita, anni prima, era stata al centro di un caso mediatico (la relazione con Joe, un tredicenne divenuto nel frattempo suo marito e padre dei suoi due figli - may december è un’espressione che si riferisce a relazioni sentimentali tra persone di generazioni diverse -). L’ingresso dell’attrice (il cinema) in casa di Gracie, allo scopo di studiare sul campo ambientazione e personaggi (un tentativo di mimesi), lancia una riflessione sul rapporto realtà-finzione e su ciò che Hollywood giudica irrappresentabile: la realtà registra certi accadimenti (non a caso Haynes si ispira a fatti reali), Hollywood li percepisce come tabù, respingendone l’esplicita trasposizione cinematografica. Come in Lontano dal paradiso si operava al secondo grado - riflettendo sul Codice Hayes attraverso la decrittazione dei non detti che pullulavano nei melodramma sirkiano (scelto come campione significativo di cinema dell’epoca, oltre che per la fascinazione teorica che esso esercita da sempre, offrendosi alla rielaborazione autoriale, Fassbinder per tutti) - in questo caso si riflette sull’impossibilità di mostrare sullo schermo il fatto scandaloso lasciandolo a una ricostruzione orale collettiva (un altro esempio di detection alla Quarto potere, come già in Velvet Goldmine) che alimenta l’unico film possibile sulla vicenda, quello mentale che si fa il pubblico; e infatti - posta l’ovvia assenza di flashback - vediamo solo il luogo in cui all’epoca avvenne il primo contatto sessuale tra Gracie e Joe, il magazzino del negozio di animali: sta allo spettatore immaginare cosa vi accadde (Elizabeth vi si masturba come fosse un atto dovuto, un atto che ha evidenti risonanze extratestuali e la cui ironia è sottolineata dal suo sorriso finale). A dire: non potendo fare un film su questa storia d’amore proibita, ne faccio uno che parli di un film su quella storia, che ne evochi anche la morbosità, implicando che al primo grado la cosa è irrealizzabile.

Posto questo fondamento teorico sul rapporto tra realtà e idea di realtà proposta dal cinema (teorizzato dalla stessa Elizabeth quando parla agli studenti del suo modo di affrontare le scene di sesso), Haynes sovrappone al processo di immedesimazione di Elizabeth in Gracie un altro gioco di specchi, prettamente cinematografico. Il richiamo principale è a Persona di Bergman e al legame simbiotico che in esso si instaura tra un’attrice che non parla più (Elisabeth, guarda un po’) e l’infermiera che la assiste, anche se May December, per come è girato, per il costante ricorrere dei doppi e per certa morbosità guarda anche a De Palma (e dunque a Hitchcock): si ritorni alla scena del magazzino di animali, in cui è impossibile non pensare alla Angie Dickinson di Vestito per uccidere. A De Palma fa pensare anche la riflessione cosciente sul meccanismo filmico e sulla costruzione della finzione per decrittare la realtà (Elizabeth fa notare a Joe di avere la sua stessa età, ergo è/interpreta una Gracie allineata a lui, incarna una coetanea body double della moglie: e infatti faranno sesso), oltre allo spudorato simbolismo sulle larve e le farfalle, proposto fin dai titoli iniziali: Joe è rimasto un bruco, è cresciuto nel corpo ma è ancora un bambino. Lo dimostra il fatto che nasconde a Gracie le innocenti chat con una follower di un gruppo Facebook dedicato all’entomologia; che si sottomette docilmente a ogni volere della moglie; che non si è mai fatto una canna, avendo di fatto “bucato” l’adolescenza; che inverte il rapporto col figlio: sarà quest’ultimo a consolarlo quando scoppia in lacrime; che romanticizza ingenuamente il sesso fatto con Elizabeth. Ed è proprio l’avvento di Elizabeth nella sua vita a preludere a una sua (tardiva) metamorfosi, all’acquisto delle ali che gli consentiranno di spiccare il volo. La finzione (Elizabeth, il cinema) entra nella realtà, la decodifica, ne determina l’analisi impietosa e porta Joe a prendere coscienza della portata degli eventi di allora («Sei stato tu a sedurmi» gli dice Gracie, «Ma avevo solo 13 anni», risponde lui, finalmente cosciente dell’abuso).

Gracie, da parte sua fa entrare Elizabeth (il cinema) nella sua quotidianità allo scopo opposto: ha invitato l'attrice proprio per dimostrare al mondo di poter affrontare le conseguenze di quella che viene considerata una trasgressione. Ma è proprio allora che le sue (auto)convinzioni cominciano a crollare: quando uno degli acquirenti delle sue torte la abbandona, capiamo dalla sua reazione isterica che la donna è calata in una sorta di messa in scena di cui è sottilmente consapevole (nessuno vuole davvero quei dolci, li si compra per tenerla occupata). E quando nega a Joe qualsiasi possibilità di ipotizzare che all’epoca lei esercitasse un controllo su di lui, diventa chiaro che la sicurezza delle posizioni di Gracie poggia su una tenace rimozione («Io sono sicura di me, fai in modo che si veda» dirà a Elizabeth alla fine). E che ci sia una coscienza sotterranea di questa strategica cecità lo dimostra la scena (allo specchio, ça va sans dire) in cui Gracie afferma «Sono ingenua, sono sempre stata ingenua: in qualche modo è un dono», una frase paradossale, che si smentisce da sola e che dimostra quanto la donna lavori su di sé per autoconvincimento.
Tutti questi motivi sottotraccia è l’avvento di Elizabeth (il cinema) a portarli alla luce, non solo con le insistenti domande che supportano il suo esercizio di immedesimazione nel personaggio di Gracie, ma anche attraverso il subdolo insinuarsi nella famiglia della Gracie reale. Qui si profila l’altra importante eco filmica, Eva contro Eva, film in cui Eve Harrington, una giovane fan dall'attrice teatrale Margo Channing, riesce a penetrare nella vita di quest'ultima, insidiandone la posizione e il letto, con tutta la pletora di motivi di attrazione, immedesimazione, vampirismo, duplicazione, ossessione che essa mena con sé. È curioso, peraltro, come la doppietta Persona - Eva attraversi altri due film relativamente recenti come Sils Maria di Assayas e Chi canterà per te? di Vermut e che, come in quei casi, il citazionismo su cui si muove Haynes suoni denso e allo stesso tempo funzionale, già sublimato, non puramente, ostentatamente cinefilo.

Ma la qualità maggiore del film è nel suo sfuggire puntualmente alla chiarezza, facendo leva, innanzitutto, su una scrittura piena di vuoti, che tutto delega non alla monstratio dei fatti, ma al loro racconto, alle loro diverse, parziali, incomplete versioni (come accadeva al Bob Dylan di Io non sono qui). Lo stesso scopo disorientante assolvono i toni del racconto, indefiniti e cangianti, muovendosi il film tra dramma, mystery e commedia. Si prenda l’uso dello score, il cui tema è quello composto da Michel Legrand per Messaggero d’amore di Losey: se all’inizio, nei titoli, esso alimenta un’atmosfera ansiogena, tale impressione è subito ribaltata nella scena in cui la stessa musica accompagna l'apertura di un frigorifero e la “drammatica” rivelazione che al suo interno non ci sono più hot dog. Evocazione cinefila, tensione drammatica, ironia: le note di Legrand scortano le diverse sfumature dello script. Anche il modo in cui vengono tratteggiate le due protagoniste contribuisce ad alimentare questa idea di ambiguità: Haynes, pur fornendo molteplici segnali sul loro modo di essere e di relazionarsi agli altri, lascia che i personaggi rimangano fondamentalmente due enigmi. A una Gracie che, come detto, si pone all’incerto confine tra coscienza e incoscienza di sé, fa da controcanto una Elizabeth il cui profilo si definisce a poco a poco. E che non è certo la diva che reputiamo incarnare all’inizio, quanto un’attrice mediocre (il momento bergmaniano - quello della lettera di Gracie recitata - rivela la sua inadeguatezza interpretativa) e una starlette di seconda fascia che sta girando un film indipendente con un budget limitato (il suo produttore la richiama all'ordine per le spese di viaggio). È in questa opacità di fondo che Haynes riesce a coniugare superbamente l’operazione intellettuale e la pratica “innocente” del genere, un connubio che all’americano riesce sempre con disinvoltura strabiliante.