TRAMA
Zion si prepara ad affrontare un massiccio attacco da parte delle macchine, ma i suoi guerrieri sono divisi. Sarà l’Eletto in grado di salvare il genere umano dalla distruzione totale?
RECENSIONI
Lontano dalla solidità e dal fascino del primo capitolo, The Matrix Reloaded trattiene e forse migliora tutte le caratteristiche di spettacolarità e di intrattenimento del suo predecessore, senza tuttavia riuscire a mantenerne la coesione fra azione e narrazione. Con un flash-forward al cardiopalma i Wachowski guardano compiaciuti all’incipit del loro originale capolavoro, assegnando ancora una volta al personaggio di Trinity gli onori di casa, e facendole nuovamente affrontare un temibile agente. Ma il film perde subito il suo ritmo e si smarrisce nei vagheggiamenti New Age di un Morpheus più avventato che saggio, coraggioso ma meno illuminato. La fede nella profezia, e quindi in Neo, non è condivisa da tutta Zion. Nonostante la abile retorica di Morpheus riesca a darle una speranza, i contrasti in essa sono forti e rischiano di spezzare la sua resistenza alle macchine. La roccaforte umana si abbandona ad una notte di baccanale e il giovane ed insonne Neo – tormentato da previsioni nefaste – si ritrova a colloquio con la matura guida di Zion, in un parallelo che evoca inevitabilmente Luke Skywalker e Obi Wan Kenobi. Dopo questo arresto piuttosto imbarazzante, il film si riprende alla prima scena d’azione, consegnando allo spettatore un nuovo gioiello di Kung-fu ed effetti speciali, moltiplicando Hugo Weaver all’infinito in un lungo, estenuante, irrisolvibile combattimento corpo-a-corpi. L’Oracolo consegna a Neo un nuovo Quest, quello di trovare il Key-Maker, e il novello Superman si lancia alla sua ricerca accompagnato dai soliti Trinity e Morpheus. Sulla sua strada troverà un nuovo cattivo dallo spiccato accento francese (singolare coincidenza, visto il rinnovato sodalizio franco-americano) e una tanto bella quanto inutile ed imbarazzante Monica Bellucci. Una volta trovato e liberato, il Key-Maker va anche difeso, il che fornisce il pretesto per un’altra rocambolesca scena tradizionale nel cinema d’azione: l’inseguimento. Smaltito l’adrenalinico Fast and Furious combattuto a colpi di pubblicità poco occulta, la squadra si prepara al tradizionale ok-corral. Il Key-Maker ovviamente è indispensabile per il compimento dell’impresa finale, accatastata sulla grandiosità dell’azione con poca perizia e molta fretta, con il risultato di far perdere allo spettatore il desiderio di seguirla. Il vecchio collaudato meccanismo del break-in, dell’irruzione nel luogo dove tutti i segreti sono custoditi, finisce col risolversi troppo velocemente e con scarsa convinzione, quasi sottostimando le potenzialità del nucleo narrativo. Le rivelazioni che aspettano Neo dietro la porta del Mainframe di Matrix sono tutt’altro che sbalorditive, e nonostante ostentino echi di staticità Kubrikiane, sono quasi offuscate dalla frenetica azione che fa loro da contrappunto. Il finale è inevitabilmente aperto per fare spazio al capitolo che seguirà, e che probabilmente – come accade in quasi tutte le trilogie – tornerà ad alzare il tono in vista di una chiusura degna delle aspettative che il progetto reloaded ha sollevato.
L'anomalia che salva il sistema
Il prete Shaolin, il Neo-superman, la Marvel-meraviglia entra subito in azione, secondo il Vangelo di Morpheus. Le danze cinesi dei fili invisibili si congelano nel grande magazzino occidentale che le rivende a 2X3, con un seguito diviso in due tempi. La ricarica è lenta, temporeggia (il gioco delle coppie Link/Morpheus, le arti marziali all’arma bianca, la ri-creazione di gelosia di Persephone) e illude con i segni grossolani di una profezia sempre uguale a se stessa (la fede nel Neo-cristo, la grotta/cattedrale paleocristiana e Morpheus che dice messa). I Wachowski si scuotono dal torpore con un rave di massa e il verde fosforescente si squaglia nel colore della carne eccitata dai ritmi tribali. Il burocrate (Smith) della violenza istituzionale moltiplica gli effetti speciali e cerca di soffocare il portatore della buona novella (e di una buona sceneggiatura): quantità contro qualità, fascino della matrice disubbidiente (che coreografie, che inquadrature impossibili!). Neo se lo scrolla di dosso, chiama a raccolta qualche riflessione intrigante (il controllo e l’interdipendenza uomo-macchina, la causalità contro il libero arbitrio…la vagina?) e inizia ad iniettare l’anomalia (l’Oracolo) in un programma troppo tranquillizzante, fino a ribaltarne il senso con un Architetto che, pur povero d’immaginazione (la sua scenografia…), svela l’incredibile. Se le apparenze ingannano la superficialità è complessa o viceversa. Il cinema virtuale di Matrix non poteva avere (non)conclusione più metatestuale (il sesto seguito che si crede originale: coincidenza o provvidenza?). La religione, oppio dei popoli, veste i panni di un magnifico inseguimento in autostrada, nel segno dei gemelli fantasmi, dal vero, dal finto, contromano, in camion-scontro. Il testo illuminato si sottovaluta ancora, rimpicciolendosi nella scelta fra due porte: l’uomo nuovo esce da tutte e due, massaggia il cuore dello spettatore e riesce a rianimarlo, con la promessa di un futuro migliore (a breve: Matrix Revolutions).
Tutto quello che avreste sempre voluto criticare riguardo a Matrix ma non avete mai osato dire. Ora potete. Ora potete perché la fortunata alchimia matrixiana, che aveva decretato il successo dell’archetipo, stavolta è solo un vago ricordo. Matrix Reloaded è una palla di 140’ che alterna imbarazzanti sproloqui filosofeggianti a storie(lle) d’amore appiccicate alla bell’e meglio a scene d’azione “à la Matrix” che sanno di deja-vu lontano un miglio. Là dove il primo Matrix riusciva a suscitare riflessioni niente affatto banali sulla vita “imposta” e sulla realtà come percezione, come volontà e come rappresentazione della stessa, il Reloaded si avvita e si smarrisce in una vicenda senza capo né coda, largamente incoerente e sostanzialmente incomprensibile (ma forse il Revolutions ci chiarirà le idee: c’è un matrix in matrix?) che, cosa ben più grave e sostanziale, smarrisce per strada il sostrato metaforico che salvava in corner gli svarioni new age e le incongruenze e forzature già presenti nel predecessore. Quel che emerge ora, e che tristemente (solo) rimane, è lo scheletro narrativo vecchio come il cucco (futuro: le macchine si ribellano all’uomo... wow), il citazionismo cinefilo e non solo (c’è anche molto hi/low tech video-rp-g-iochesco alla Final Fantasy nella rappresentazione della città di Zion), la fotografia virata al verdognolo (che fa molto ZX-Spectrum), gli effetti speciali ora obsoleti (il “metallo liquido” di T-1000iana memoria) ora abusati (i ralenties e i fin troppo tipici stop frame multiangolo), le scene d’azione con poco o nulla di nuovo (l’inseguimento a bordo della Ducati998 avrebbe potuto girarlo un qualunque Rob Cohen) e una sommaria caratterizzazione dei personaggi che sembra privarli anche dell’esile fascino che alcuni di loro erano riusciti a esercitare. E dire che l’incipit, letto al secondo grado, prometteva anche bene: i Wachowski Bros. che danno in pasto al pubblico quello che il pubblico vuole e si aspetta da loro, per rivelare subito che era tutto un sogno indotto da... Matrix e che ci attende invece qualcosa di “realmente” nuovo (come no...). Ciliegina sulla torta: l’interpretazione della Bellucci, che scava a mani nude oltre il fondo del suo abyme interpretativo. Semplicemente imbarazzante. Chi ha voglia di sorbirsi gli interminabili titoli di coda, accompagnati dal peggior rock(ettone) reperibile su MatchMusic et similia, si può infine “gustare” il trailer di Matrix Revolutions che riesce, in una manciata di secondi, a strappare l’ultimo epitaffico sbadiglio.
Il primo "Matrix" ha rivoluzionato il modo di fare cinema d'azione, introducendo sofisticati effetti speciali poi imitati ovunque. Il merito, oltre che dei fratelli Larry e Andy Wachowski e dei tanti supervisori tecnici, e' stato anche del maestro d'arti marziali Yuen Wo Ping, che ha coreografato i combattimenti permettendo ai personaggi di superare qualsiasi legge fisica, librandosi in aria con forza e leggerezza. Ma il primo episodio della trilogia riusciva anche a raccontare una storia capace di intrigare e appassionare, un punto di vista attuale, venato di bagliori crepuscolari e carico di suggestione.
Nel nuovo "Reloaded", di tutta quasta fascinazione d'insieme resta soltanto il forte impatto delle immagini. Comincia scimmiottando "Guerre Stellari", con una Resistenza, un Consiglio, i buoni e i cattivi chiaramente distinti e, soprattutto, descrivendo questi ribelli come una sorta di "new barbarians", con un look tribal-chic di irritante banalita'. La noia fa subito capolino, tra dialoghi pretenziosi e sibillini e personaggi poco interessanti. Poi, gradualmente, si arriva a capire che e' meglio accantonare gli sviluppi previsti dalla debole sceneggiatura e concentrarsi sulla potenza delle immagini. Una volta preso atto del nonsense narrativo, si riesce anche a godere un po'. Certo, gli elaborati combattimenti sortirebbero un coinvolgimento assai diverso se supportati da un rapporto meno elementare di causa ed effetto, ma per gli occhi e' comunque un vero piacere restare intrappolati nella rete di "Matrix".
Peccato per le tante, troppe parole che intervallano l'azione, pesanti come macigni e di inconcludente ingenuita'. In un contesto cosi' tecnologico, gli attori sono pedine al servizio del videogioco, con un'espressivita' limitata al minimo. Tra i patiti e mai cosi' sciupati Keanu Reeves e Carrie-Ann Mosse e la bolsaggine di Laurence Fishburne, non sfigura nemmeno l'immobilita' di Monica Bellucci, ancora una volta icona di mediterranea bellezza che potrebbe almeno decidersi a fare un serio corso di dizione per snellire il fraseggio, come al solito (unica eccezione "Ricordati di me" di Muccino) di stridente stonatura. Di tutto il rutilante immaginario riciclato, masticato e vomitato dai fratelli Wachowski, restano in mente alcune sequenze: il combattimento che anticipa l'incontro con l'oracolo, una sorta di danza di estrema eleganza e bellezza; la prima rissa tra Neo e gli Smith clonati, realizzata attraverso la nuova tecnica denominata "cinematografia virtuale" che, nonostante tradisca piu' volte la sua natura di sintesi, e' davvero "bigger and bigger" e lo spettacolare inseguimento in autostrada, con incredibili movimenti della macchina da presa e duelli tanto sopra le righe quanto divertenti. Tra i personaggi, una certa simpatia e' suscitata unicamente dall'incredulo fabbricante di chiavi, gli altri si prendono troppo sul serio. Determinante, nella costruzione delle sequenze, il commento sonoro, con scelte musicali quanto mai azzeccate e trascinanti, che diventano parte integrante della narrazione. Piu' che un film, alla fine, un fenomeno di costume, un rito collettivo a cui abbandonarsi senza cercare uno spessore che sembrava ci fosse, ma non c'e'.
All'accendersi delle luci in sala, dopo i lunghi titoli di coda e il poco promettente trailer del successivo "Revolutions", la sensazione che si prova trova appigli nelle parole di Merovingio. E' un po' come "essersi puliti il culo con la seta". Effimero piacere che spreca gratuitamente indiscutibili talenti.
Vedere (o provare, a seconda dei gusti) per credere!
La matrice è l'utero materno, più ancora è la disposizione su m righe e n colonne dei necessari numeri di campo: insomma, Matrix è matrix è la Regola, il germe che permea il Tutto. Scopo del sistema è quello di perpetuarsi ma non è autosufficiente, a tal fine esso include ed ha necessità dell'alterità, l'umano in quanto elemento biologico energetico e come radicale opposizione.
Il Tao al pari dei presocratici, Eraclito (Parmenide "paradossalmente" avrebbe da dire sulla virtualità) per dire, le dinamiche dualistiche come motori del fluire, del divenire, del futuro: un sistema di sceneggiatura resistente a tutto.
La matrice ha vaghi connotati di estensione e presenza, viene raggiunta da alcuni uomini (si suppone siano tali) con un cablaggio cerebrospinale, raggiunta come estasi virata tecnologicamente è poi il travaso da un simulacro ad un altro i cui caratteri di azione nel mondo(2) soddisfano i desideri di rivincita delle disgrazie del mondo(1).
L'umano ed il numerico sono reciprocamente virali e parassitari, il Male risiede nel mezzo ambiguo che si tinge coi tratti della scelta: se l'opposizione binaria domina il Sistema, le sfumature affettive possono modificare e definire l'arbitrio umano, sulla cui libertà scioccamente si discetta (Agostino fa capolino). La Matrice possiede il mondo(1 & 2) al punto da esserlo, al punto da aver codificato la presenza del male, nella forma della distruzione palingenetica, è divenuto fondante costitutivo dell'evoluzione del Sistema: chi-sceglie-cosa-dove in una struttura bipartita (due parti che si compenetrano) che reca ovunque tracce di continuità?
Problemi ed interrogativi mistici ben più antichi delle parole che li descrivono, tanto da rendere lecito domandarsi quanto rientri nel calcolo dei Wachowski bros. (prodotti W.bros.) ed in che forma.
Il sincretismo frullatorio che facilmente si identifica parte dall'avvento cristologico -fino a che punto?- di Neo (M. Reloaded aggiunge anche puerili complicanze freudiane) in un universo governato da ferree Regole (una matrice veterotestamentaria?) che non mettono però a tacere la serpeggiante ribellione, Morpheus capo-popolo sopra tutti: la risposta tramica è lontana dall'essere organica con gli assunti taciuti, è una replica meccanica basata sull'esasperata (e supposta soddisfacente) iterazione dei percorsi già proppiani di avvicinamento e separazione dal desiderato, con relativa assunzione di tratti personali -per l'eroe- variamente magici.
Il sistema Matrix (tripartito e unitario!) è in sé una struttura basilare, autogiustificante che lascia intravedere possibilità ed aspirazioni fascinanti al modo delle stampe di M.C. Escher, di P.K. Dick, ma si lascia facile preda dello spessore d'una carta da parati stampata con visualizzazioni di frattali di Mandellbrot.
Iscatolata la trama in una tale cassaforte - fortuita?- i fratelli hanno dato libertà alle citazioni culturali, modaiole e tecnologiche, dal kung fu al Tao alla romanità (abiti, struttura sociale, la Matrice imperiale) al fumetto, questo in gran abbondanza, al cinema (la lunga sequenza di ballo rimanda immediatamente al muoversi sfrenato degli Unni nella Saal der Knechte della seconda parte dei Nibelunghi langhiani, anche loro in lotta contro il rigore geometrico dei Burgundi). Il tutto abilmente (spesso efficacemente) potenziato, accelerato da facile epica, CG e, perché no?, belle donne (e uomo).
I fratelli W. dopo "Bound - Torbido inganno " (dimenticabile ma mostra curiose pecche semplificatorie) hanno azzeccato una formula che possono ciecamente seguire, un'apparecchiatura pronta a divenire chiara, cristallina, nel suo chiudersi, comunque avvenga, perché autoregolata: un programma teleologico pronto a far dimenticare le pochezze del dialogo, le cure non continue alle textures visive e sonore, al pari dei fantasmatici riferimenti che qui abbiamo sparpagliato.
A tutto sfugge, però, l'umano carattere, urla lo script di Matrix Reloaded (e della trilogia tutta) con gran sprezzo del ridicolo (hollywoodiano) e ancora fornendo una spiegazione adeguata ed interna all'oscenità dei tre minuti di auto-doppiaggio di Monica Bellucci, altrimenti intollerabile in tutte le n dimensioni.
"Matrix reloaded", ovvero la proliferazione del "logos" del primo "Matrix", affascinante e curioso "mélange" culturale forse sopravvalutato. Gli ambiziosissimi Wachowski cercano di ridefinire i confini dell'immaginario contemporaneo nel segno del sincretismo filosofico: Baudrillard più filosofia zen più suggestioni new age (mai manchino.) più Dioniso più Platone più Dick più manga più psicologia cognitiva più La Mettrie più Husserl più Pascal più fideismo più Derrida. Se nel primo episodio la suggestione e il sussurro prevalevano sul didascalico e la riflessione filosofica nasceva dal racconto, in questo secondo episodio l'esigenza di arricchire il plot con rimandi culturali e l'ambizione a costruire una nuova epistemologia ammorbano la narrazione. Il racconto si ripiega su se stesso senza evolvere, la traiettoria delle linee direttive della storia subisce continue deviazioni che vorrebbero essere "esplicative" ma che finiscono, paradossalmente, col creare confusione, con lo smorzare la tensione, con l'ottundere la iattanza del soggetto. La geminazione degli "excursus" didascalici non solo nuoce al racconto ma uccide il mistero ed è fatale a quel dubbio filosofico sulla reale consistenza della realtà esperita all'origine del primo film della serie. Le scene d'azione paiono più esibizioni fini a se stesse che tappe fondamentali. La lunga e soporifera permanenza nella caverna platonica di Zion, tra festini di dubbio gusto e "prevedibilissime pre-visioni", è da dimenticare così come sono da dimenticare l'inutile Persefone bellucciana, i poco credibili perché cristallizzati tormenti del giovane eletto Neo, personaggio sempre più monolitico e ridicolo nella sua veste da prete di campagna griffato (possibile che ogni tre battute debba esclamare "Non so se sarò in grado di salvare il mondo." con la stessa espressione fintamente turbata?). Nel pirotecnico montaggio degli ultimi venti minuti, i Wachowsi utilizzano addirittura il poco "mainstream" "flash-foward" ma è solo un "clin d'oeil" ai cinefili: "Abbiamo studiano cinema, non solo filosofia" sembrano volerci "urlare" i nuovi eletti della settima arte. Rimane la lunga sequenza dell'inseguimento in autostrada, indubbiamente ben fatta.