Drammatico, Sala

MATERNITY BLUES

NazioneItalia
Anno Produzione2011
Durata93'
Sceneggiatura
Tratto dadalla pièce teatrale “From Medea” di Grazia Verasani
Montaggio
Scenografia

TRAMA

Quattro donne diverse tra loro, ma legate da una colpa comune: l’infanticidio. All’interno di un ospedale psichiatrico giudiziario trascorrono il loro tempo espiando una condanna che è soprattutto interiore: il senso di colpa per un gesto che ha vanificato le loro esistenze. Dalla convivenza forzata, che a sua volta genera la sofferenza di leggere la propria colpa in quella dell’altra, germogliano amicizie, spezzate confessioni e un conforto mai pienamente consolatorio ma che fa apparire queste donne come colpevoli innocenti.

RECENSIONI


Il testo teatrale "From Medea", di Grazia Verasani, viene tradotto per immagini da Fabrizio Cattani, alla sua seconda regia dopo il pluripremiato, e quasi invisibile in Italia, Il Rabdomante, del 2007. Il tema affrontato è molto forte, si parla di madri infanticide. Il film prova a indagare quattro personaggi femminili, rinchiusi in un ospedale psichiatrico dopo il terribile atto, riuscendoci solo in parte. La presentazione dei differenti caratteri sconta infatti un'impostazione prettamente televisiva: largo uso di primi piani, con sguardi mesti a fissare il vuoto, silenzi che si vorrebbero comunicativi, musica a sottolineare la contrizione degli stati d'animo e dialoghi tesi a spiegare. Per buona parte della pellicola questo schema di ripete più volte, con l'aggiunta di almeno una scena madre per ognuna delle quattro protagoniste.


È solo quando non c'è più bisogno di sottolineature, di schematismi, di ammiccamenti, di didascalie, quando insomma il cinema invade lo schermo che il disagio dei personaggi esce dai confini del prevedibile. Ed è solo quando questo accade che arrivano le emozioni che le parole avevano solo lambito. Come quando la nuova arrivata, specchiandosi nell'acqua della fontana, rivive oniricamente il trauma inflitto e subito. O quando, per una madre disperata, la schiacciante quotidianità prende le forme di un telefono che non la smette di squillare, della lavatrice che reclama il suo carico, delle liti tra i figli più grandi, delle urla interminabili del più piccolino.


Sono alcuni dei momenti in cui le spiegazioni scompaiono e si ha modo di entrare nell'effettivo sentire delle protagoniste, imbrigliate in personaggi sfumati ma resi in modo stereotipato, secondo una suddivisione di caratteri che rischia di imprigionarle nell'aggettivo di riferimento (la ribelle, la nuova, la dolce, la ruvida). Lode comunque a un film che affronta con sincerità, assenza di giudizio e profondo rispetto un tema scomodo, generalmente dibattuto più nelle sue implicazioni cronachistiche che nel tentativo di sondare le radici del problema. Anche se il risultato non sempre ha a che fare con il cinema.