TRAMA
Martin Clément – alla nascita Marvin Bijou – è fuggito. È fuggito da un piccolo villaggio di campagna. È sfuggito alla sua famiglia, alla tirannia del padre e alla rassegnazione della madre. È sfuggito all’intolleranza.
RECENSIONI
Anne Fontaine racconta un percorso umano, che parte dall’immersione nel nucleo familiare - problematico, indifferente, provinciale, ipnotizzato dal televisore - di un ragazzo marchiato già dal nome (Marvin Bijou). Tormentato e additato dai compagni di scuola, il fanciullo scopre il teatro, un talento e una via di fuga da quella realtà opprimente. Che continua a vivere dentro di lui, come la pulsione omosessuale che, una volta lontano da quel villaggio che lo imprigionava, può finalmente agire. Ma la storia dell’infanzia di Marvin è solo la didascalia di un livello rivelato fin dalla prima scena: la rappresentazione teatrale di quel percorso, uno spettacolo che Marvin (divenuto Martin) mette finalmente in scena, grazie all’aiuto di un regista che ha creduto in lui e di Isabelle Huppert (nella parte di se stessa). Un po’ troppo come acrobazia, soprattutto se il rimbalzo tra un piano e l’altro, le rime tra finzione e realtà, i paralleli tra memoria e teatralizzazione della stessa sono così pedanti e programmatici.
Riassumendo: ricordo, scrittura dello stesso (con lo schermo alle spalle di Marvin che ripropone le immagini del film - mentale? - dell’adolescenza) e sua messa in scena in forma di monologo; poi: rifiuto delle radici (luogo, nome) e recupero ragionato delle stesse con tanto di chiarimento paterno; ancora: le offese di un ambiente rinviate al mittente attraverso il clamore mediatico dello spettacolo che porta il protagonista alla ribalta, e ciò di cui racconta di conseguenza (come se il teatro avesse questo tipo di risonanza: ma su quale pianeta?). Marvin (ou la belle éducation, un sottotitolo che forse allude al fatto che non tutti i mali vengono per nuocere…) è un vuoto gioco di riflessi e volteggi esistenzialisti tanto pretenzioso esteticamente quanto linguisticamente inerte, ispirato (con molta libertà) al (bel) romanzo autobiografico di Édouard Louis (già Eddy Bellegueule).