TRAMA
Dopo aver salvato da un pestaggio Arturo, giovane rampollo della borghesia industriale, il marinaio Martin Eden viene ricevuto in casa della famiglia del ragazzo e qui conosce Elena, la bella sorella di Arturo, e se ne innamora al primo sguardo. La giovane donna, colta e raffinata, diventa non solo un’ossessione amorosa ma il simbolo dello status sociale cui Martin aspira a elevarsi. A costo di enormi fatiche e affrontando gli ostacoli della propria umile origine, Martin insegue il sogno di diventare scrittore e – influenzato dal vecchio intellettuale Russ Brissenden – si avvicina ai circoli socialisti, entrando per questo in conflitto con Elena e con il suo mondo borghese.
RECENSIONI
Una liberissima trasposizione del Martin Eden di Jack London e un film liberissimo nelle mani di Pietro Marcello: film teorico, trasfigurazione ambiziosa di temi e stili, dramma esistenziale soprattutto. Dalla California di inizio Novecento ad una Napoli materica e astratta (come sostiene a ragione il regista, potrebbe essere una qualsiasi città portuale del Mediterraneo), sospesa in un flusso storico indefinito, dolentemente post-ideologico, ipertesto sincretico e espanso di un lungo otto-novecento screziato di tutte le sue tensioni politico-sociali e i suoi turbamenti dell’anima, non meno terrificanti: le lotte sociali come fantasmi dall’alba del secolo, i retaggi nobiliari, lo spettro delle guerre mondiali come incubo passato e minaccia presente, i tumulti proletari, l’estetica industriale fra anni Sessanta e Settanta, la lacerazione fra io e massa, individualismo e socialismo, l’essere uno e l’essere tutti, tutto.
Martin Eden – vissuto nel corpo e nello sguardo lacerato di Luca Marinelli, Coppa Volpi a Venezia – è un marinaio che salva un giovane aristocratico da una scazzottata al porto. Questi, per ringraziarlo, gli apre le porte di un mondo parallelo: un invito a pranzo fra i lussi della sua nobile famiglia. Qui Martin incontra Elena, la sorella del ragazzo, e se ne innamora. Si innamora della bellezza eterea della giovane donna e della cultura di lei, che lui, figlio del popolo a malapena alfabetizzato, non ha. Con il supporto dell’amata, Martin si getta con foga nella lettura, nello studio da autodidatta. Sotto la spinta dell’amore, vive la vertigine della scoperta, della conoscenza, degli inimmaginabili stimoli dell’arte, delle provocanti sollecitazioni del pensiero. Ma Martin è anche un uomo di mondo e sa che non si estingue tutto nelle fiammate romantiche della poesia, ma che la cultura è soprattutto un’arma di riscatto, uno strumento per tentare la scalata sociale, lasciare le luride casette del porto e ambire alle tappezzerie delle stanze del palazzo. Nel calcolo darwiniano di Martin, che segna il film dal suo primo atto, si perde già l’illusione di ogni innocenza – l’estasi romantica che lascia il passo all’urgenza del naturalismo – ma non c’è (pre-)giudizio nello sguardo dell’autore: questa marcia di arrivismo non è altro che legittima ambizione alla sopravvivenza. Determinato a diventare scrittore, Martin invia i suoi racconti a riviste letterarie che sistematicamente li rifiutano. Viene cacciato di casa dal cognato proletario. Viene ancora visto con scetticismo e emarginato dall’alta società di cui Elena fa parte. Martin non trova un suo posto, Martin è solo.
Trascinato dallo spirito del tempo (quale tempo? Forse la Storia tutta), Martin si aliena definitivamente le simpatie della famiglia di Elena avvicinandosi al socialismo. Sposa quindi in maniera via via più risoluta il pensiero filosofico e politico, anarcoide, di Herbert Spencer, che del puro socialismo critica la natura fallace, mettendo al centro la superiorità dell’individuo rispetto al ruolo del collettivo. La sua tenace apologia dell'io incontrerà puntuale l'ostracismo anche dei gruppi di sinistra. Né a pranzo con i liberali né in lotta con i socialisti, incarnazione delle disilluse utopie novecentesche, neanche qui Martin trova un suo posto. A sostenerlo nel radicalismo del suo percorso intellettuale, l’incontro fortuito con Russ Brissenden, poeta e filosofo, che lo sprona a resistere alle sirene borghesi che tentano di piegare il suo genio artistico alla mediocrità del gusto comune. Ma Russ Brissenden, tubercolotico e alcolista, se ne andrà di lì a breve. L’individuo che Martin esalta nel concetto si materializza letteralmente, esistenzialmente, in lui stesso: singolo individuo, Martin è sempre più l’archetipo di un uomo solo.
Con un salto temporale nel tempo della vicenda e nell’ignoto e lucidissimo magma di questa Storia, estremizzando il montaggio ellittico che struttura tutto l’andamento del film, il racconto si chiude in un terzo atto di cupo pessimismo. Troviamo Martin scrittore di successo e troviamo Martin cambiato: pallido e trasandato, umorale, emotivamente distruttivo. Ha ottenuto ciò che voleva – la fama, la libertà di scrivere alla sua maniera, il riconoscimento delle élite culturali – eppure è più incompreso che mai. Ha creduto nel suo essere un individuo in lotta contro le ingiustizie del mondo, ha creduto che la cultura lo avrebbe salvato, ha visto mutare le proprie idealizzazioni in un mal di vivere che ora, stretto fra le ganasce dell’industria capitalistico-culturale, ha preso la forma del bieco disincanto. In trappola, all’apice di un percorso autodistruttivo, Martin chiude la sua storia consegnandosi alle acque del mare: un gesto di purificazione o più probabilmente un gesto di morte. Sicuramente un gesto solitario. E intanto, per un istante, sulla spiaggia appare un capannello di uomini alla deriva, rifugiati attorno ad un fuoco, in un ulteriore cortocircuito narrativo che sposta più in avanti l’asticella del tempo e dell’ambizione.
Girato in Super 16, brillante di una sua grana specifica e una definizione sfuggente, fra inserti d’archivio e numerosi rimandi a influenze cinematografico-letterarie, Martin Eden ripropone il consueto stile lirico del suo autore – e le sue ambizioni, maniere, ingenuità, ma anche tutta la sua forza – e lo mette al servizio di una storia disperata. Facendo coincidere i tormenti dell’uomo con le angosce del secolo, il film sottolinea il grido d’aiuto dell'individuo tormentato da un bisogno di appartenenza a tutti i costi - ad un luogo, ad un tempo, ad una classe sociale, politica o culturale. Se non ci si arrende a sottostare alle regole del gioco che ci sono state assegnate in partenza - specie se si nasce poveri, proletari e senza cultura - il diploma di appartenenza ad una casta sognata può essere conseguito unicamente tramite un gesto di accettazione, concesso dagli altri, ma questa accettazione per Martin non arriverà mai. Martin Eden rimane un marinaio perso nel secolo, che approda fiero ad ogni porto, ma nessuno di questi è casa sua. Martin Eden è il dramma della solitudine, dello spendere un’esistenza a combattere per spezzare il giogo del determinismo sociale e non farcela, e non trovare mai, neppure alla fine, il proprio posto nel mondo.