Drammatico, Recensione

MARIA FULL OF GRACE

Titolo OriginaleMaria, llena eres de Gracia
NazioneU.S.A./Colombia
Anno Produzione2004
Durata101'
Sceneggiatura
Fotografia
Scenografia

TRAMA

Per sottrarsi a una vita di stenti, una minorenne colombiana accetta di diventare corriere della droga.

RECENSIONI

Soffocata dal grigiore della routine, María volge lo sguardo al cielo, alla ricerca di una via di fuga da un’esistenza già interamente scritta da altri. Accolto nel proprio ventre un frutto proibito che può ucciderla, la ragazza supera la barriera che divide la realtà dal sogno (americano): la felicità resterà un miraggio ma la (ri)scoperta di se stessa porterà la giovane donna a una seconda nascita. L’esordiente Joshua Marston fa centro con un piccolo film (produce la televisiva HBO) che affronta un soggetto dagli echi evangelici con l’asciutto rigore del migliore Loach. Agli antipodi dell’ancilla Domini invariabilmente sottomessa, María affronta un percorso di formazione attraverso cui giunge ad accettare consapevolmente il proprio destino di donna: la maternità, all’inizio ritenuta sgradevole effetto collaterale di un rapporto insignificante (solo un’altra maglia di una catena di cui sbarazzarsi in fretta), diviene guida nel labirinto di New York, nutrimento di una speranza (in)cosciente, unico passaporto per la terra promessa dell’età adulta. Pur servendosi di un linguaggio estremamente semplice, il regista riesce a costruire un’architettura efficace quanto sobria. Il film si snoda come un palindromo, presentando le due sezioni (ambientate rispettivamente in Colombia e negli Stati Uniti, divise dalla sequenza del volo collocata al centro esatto dell’opera) gli stessi elementi figurativi (un brandello di cielo, un più o meno ambiguo factotum, María su un lettino, un mazzetto di banconote, una perquisizione aeroportuale e via dicendo) disposti in ordine inverso, a sottolineare non soltanto la maturazione della protagonista (che riscopre il passato alla luce delle nuove esperienze, vedendo riflesso nell’amica Blanca il proprio antico desiderio di ribellione) ma l’inconsistente “liberazione” delle ragazze, che hanno prestato il proprio corpo alla morte per riceverne in cambio non una nuova vita, ma un’altra forma di schiavitù. Diversamente da Blanca, però, María riesce a mettersi in salvo, passando dall’immobilità del prologo all’incerto movimento dell’inquadratura conclusiva. Le tracce didascaliche che appesantiscono alcuni dialoghi (opera del regista) sono riscattate dalla prova di un cast che unisce senza difficoltà attori professionisti e non.