Drammatico, Recensione

MAREBITO

NazioneGiappone
Anno Produzione2004
Durata92'

TRAMA

Masuoka, un cameraman, è preso dal desiderio della paura. Nelle immagini che gira, ci sono sempre persone spaventate da qualcosa. Pensa di voler vivere la stessa esperienza. Che cos’è la “paura”? Un giorno, viene a sapere del DERO (Detrimental Robot = Robot nocivo) che vive nel mondo che si sta espandendo sottoterra. Ha il senso dell’udito molto forte e cammina con quattro piedi. Se trova DERO, potrà provare la vera paura? Nella grotta trova una strana cosa e comincia ad allevarla.

RECENSIONI

Il pasto nudo

Spero che resterete immersi in questo umido mondo (Takashi Shimizu).

L’autore del cult JU-ON – THE GRUDGE (in arrivo il remake americano ad opera dello stesso regista) conferma all’occasione la sua caratura di inquietante spaventapasseri: sfacciato rimando a PEEPING TOM di Powell –con un pizzico di VIDEODROME-, invenzioni semplici ma agghiaccianti, ammirabile polso nel condurre l’intreccio dove più gli aggrada ed improvvise virate registiche da saltosullasedia. Partendo da un’atavica situazione horror (l’ossessione di riprendere il terrore) la pellicola ci traghetta in un cosmo oscuro ed incantato per imbatterci nella marebito, l’empia creatura, ed immergerla nel mondo reale. Questo piccolo espediente, quasi grossolano, innesca una convivenza (letterale) con la mostruosità  realmente conturbante, dove l’essere temuto risiede proprio nella nostra casa; quindi genera tenerezza e comprensione, cercando istintivamente di piegare il soprannaturale ad un canone umano (il biberon di sangue); ed infine scodella la raggelante verità, in un finale a sorpresa stavolta realmente sorprendente. Non voglio scalfire cotanta perversione limitandomi ad annunciare un terribile rovesciamento, di quelli che disturberanno il vostro periodo notturno. Ulteriore prelibatezza per appassionati: il cameraman Masuoka è interpretato da un allucinante Shinya Tsukamoto. Il tutto spruzzato di un’ammirevole chirurgia formale e trovate visive che, cavalcando alla grande il digitale, evocano il brivido senza diritto di replica (l’omicidio dietro la colonna, il guizzo della mano postmortem). Nell’umido mondo di Shimizu restiamo immersi fino al collo.

A oriente niente di nuovo

 

Due riconosciuti talenti del cinema horror giapponese si incontrano: Shinya Tsukamoto, autore del cult "Tetsuo" qui in veste di attore, e Takashi Shimizu, regista dell'altrettanto cult "Ju-on / The Grudge" (diciamolo, un tantino sopravvalutato) che è appena volato oltreoceano per dirigerne il remake americano sotto l'egida produttiva di Sam Raimi. In questa discesa negli inferi della personalità del protagonista e della metropoli, ci sono tutti gli elementi cari al giovane regista: un talento visionario per la messa in scena, immancabili e succulente morbosità (su tutte, il protagonista che si taglia la mano per nutrire con il suo sangue la strana creatura che ha deciso di allevare) e alcuni tocchi ormai caratteristici dell'autore (la fuoriuscita improvvisa di entità da angoli impensabili dell'immagine). L'incipit non è affatto male e le premesse di un'indagine del protagonista nel sottosuolo della sua pazzia lanciano schegge di inquietudine. Poi, però, il tentativo di dare razionalità alla vicenda si scontra con l'incongruenza dei dettagli e il film finisce per perdere per strada i possibili spaventi. Così come si ridimensiona la sua carica emotiva e l'efficacia dell'ennesima metafora sull'arte della visione, che trasforma il film in una versione nipponica un po' bislacca, più affascinante che davvero riuscita, de "L'occhio che uccide" di Michael Powell.