TRAMA
Quattro momenti nella vita di quattro coppie: “Innamoramento”, “Crisi”, “Tradimento” e “Abbandono”.
RECENSIONI
Quattro frammenti di vita amorosa si intersecano nel lungometraggio corale diretto da Giovanni Veronesi, nato da un'idea di Vincenzo Cerami tenuta nel cassetto per tre anni. Si passa dalle scaramucce a lieto fine dei ragazzini in vivace INNAMORAMENTO per piombare nella CRISI della coppia adulta senza figli, superando le trappole del TRADIMENTO e finendo nelle zone d'ombra dell'ABBANDONO. I titoli dei capitoli in cui è suddiviso il racconto evocano temi esistenziali annosi e assai problematici e la sceneggiatura fa il possibile per mantenersi in equilibrio tra la riflessione e la risata. A spuntarla è la simpatia della confezione e degli interpreti, che fanno di tutto per stemperare il retrogusto amarognolo e mandare a casa gli spettatori sorridenti. Il cast, punto di forza della pellicola, riunisce mattatori nostrani, divi televisivi, noti caratteristi e giovani ormai affermati, ognuno ben consapevole del ruolo che si è ritagliato nell'immaginario collettivo e attento a non deludere le aspettative. Nonostante superficialità e luoghi comuni abbondino, il film riesce a restituire tracce di verità. Sono proprio alcuni dettagli d'ambiente e la verve dei dialoghi ad impedire alle macchiette di rubare la scena ai personaggi. L'intreccio è imbastito con grazia, nonché furbizia, e cerca in tutti i modi di suscitare l'identificazione del pubblico, riuscendoci, però, solo a fasi alterne. Se l'entusiasmo di Silvio Muccino e la freschezza di Jasmine Trinca sono contagiosi, il loro amore odora un po' di naftalina e finisce per perpetuare un modello di coppia (lui disposto a tutto per averla, da guerriero a uomo-zerbino, lei prima indifferente poi malleabile, alla fine mogliettina) presente soprattutto nei rotocalchi. Più interessanti i presupposti del ristagno affettivo tra Margherita Buy e Sergio Rubini, con alcune trovate davvero esilaranti (la cena dagli amici pargolo-dipendenti, il fastidio di piccole cose come il rumore di una posata tra i denti) e altre un po' più didascaliche (l'ubriacatura e relativa occasione di adulterio), per fortuna con una chiusa a mezze tinte (comunque dall'abbraccio rassicurante). Luciana Littizzetto, ancora in tandem con Dino Abbrescia come in "Se devo essere sincera", è protagonista dell'episodio più divertente, anche se è di nuovo la lezioncina facile ("occhio per occhio, dente per dente") ad ispirare la riconciliazione. Meno riuscito l'one-man-show di Carlo Verdone, perché narrativamente inconsistente (ennesimi porte in faccia e amanti sotto il letto) ed eccessivamente sbilanciato sui clichè della vis mimica dell'attore romano. In tutto ciò il cinema ne esce senza guizzi ma con dignità, supportando con ritmo il copione ed evitando perlomeno la sciatteria di troppo cinema italiano contemporaneo. Stimolante il parallelo con il film di Francois Ozon "5 x 2", passato, chissà perché come un fulmine, sugli schermi a inizio stagione. In fondo si tratta di un percorso con più di un'affinità: l'analisi di alcune tappe nell'intrico dei sentimenti di una coppia. Nel film di Ozon sempre la stessa a ritroso, in quello di Veronesi, con un succedersi di personaggi differenti e in avanti. È interessante notare l'abilità del regista francese nell'arrivare al cuore delle pulsioni rifiutando facili stratagemmi (le didascalie, la voce fuori campo). Pulsioni che "Manuale d'amore" anestetizza o non prende quasi mai in considerazione (se non nel loro aspetto più marcatamente esteriore), prediligendo l'approdo alle risate delle gag. Questione di scelte e di sensibilità, ma Veronesi, in evidente sintonia con un pubblico di matrice televisiva, dimostra comunque di avere trovato un compromesso non disprezzabile tra "quello che avrebbe potuto essere" e "quello che è".
