TRAMA
Una scrittrice affermata, che sembra avere avuto tutto dalla vita, cade in una profonda crisi esistenziale. Prima lascia casa e marito, poi inizia un lungo viaggio per ritrovarsi.
RECENSIONI
Julia era pazza del libro. Anche Oprah Winfrey lo era, come pure un numero considerevole di donne americane. E allora bisognava assolutamente farne un film. L'idea della Roberts era quella di diventare su grande schermo l'eroina delle donne alla ricerca di se stesse e di ciò che desiderano dalla vita. Ma quello che aveva funzionato su carta non funziona su pellicola quando, come in questo caso, si rinuncia ad un serio lavoro di traduzione da una forma espressiva ad un'altra. La visione è tutta in salita. La premessa newyorkese è tutto sommato plausibile. Una donna, anche se apparentemente realizzata - bella, benestante, sposata, splendida casa e lavoro stimolante - può rimettere in discussione tutto ciò che ha costruito nel tentativo di comprendere cosa desidera veramente. Il viaggio, con tre diverse destinazioni - Italia, India, Bali - mostra invece con sempre maggiore evidenza la deriva fallimentare della sceneggiatura e, con essa, del film. I segmenti sono divisi troppo rigidamente, a proporre schematicamente una evoluzione della protagonista che nei fatti non si avverte. Mangia - riscopri il piacere della vita - prega - ritrova la tua spiritualità - ama - apriti finalmente all'amore consapevole di te stessa. Peggio di un manuale da pescare in libreria accanto alle lezioni di autostima ed al prontuario per farsi rispettare. La tappa italiana è, almeno per gli spettatori nostrani, quasi una caccia all'errore. Divertente (ci si è così abituati che nemmeno ci si irrita più) per l'insieme di inverosimiglianze e luoghi comuni propinati. Nel 2010 l'Italia è sempre spaghetti e pizza, c'è poco da fare. Lo aveva fatto capire subito la Roberts, preparandosi al viaggio cercando nel dizionario esclusivamente i termini culinari (lasagne, mozzarella, cannelloni...). Ma l'ameno quadretto nazionale regala altre perle: la padrona di una vecchia casa romana che parla siciliano (!) e spiega alla protagonista che deve lavarsi in una vasca senza scaldabagno, la moderna versione dei "pappagalli" anni Sessanta che gridano "a bbona" e danno pacche sul sedere in mezzo alla strada, il cicerone dall'accento inequivocabilmente settentrionale (Argentero), i continui memento sulla centralità della famiglia e le reazioni scandalizzate di fronte alla divorziata americana (eppure nel Belpaese, oltre alle docce, sono arrivate da un pezzo anche le separazioni), l'elogio del "dolce far niente" di cui gli italiani sono specialisti e, per finire, un salto in Toscana, che non deve mancare mai (pare sempre a portata di macchina). E per chi non lo sapesse ancora la parola che meglio definisce la città eterna è "sesso". Visto questo, viene naturale essere un po' diffidenti anche nei confronti delle rappresentazioni offerte dell'India e di Bali. Poco incisiva la prima, molto turistica la seconda; l'una condita dalla presenza di un ruvido ex alcolista, l'altra dalla nascita di un nuovo amore. Sulla media distanza, però, zoppicano entrambe, soprattutto quando i partner maschili diventano piagnucolosi e rivelano tutta la loro artificiosità. Tutte e tre le mete vengono proposte, in buona misura, come belle cartoline, disturbate dalle condotte sfilacciate e poco credibili dei protagonisti. I dialoghi poi vanno sempre più degenerando tra frasi che aspirano invano alla profondità, incoerenze e semplificazioni desolanti. Particolarmente stonata è la coda della relazione con il giovane attore, avventura improvvisamente nobilitata a straziante amore perduto con tutti i contorcimenti mentali del caso, senza che nulla di ciò che abbiamo visto sullo schermo ce ne dia giustificazione alcuna. Ed è un'offesa all'intelligenza anche il finale, col più banale dei no alla felicità, recuperato in corner con corsa a perdifiato solo perché il guru fa cortesemente notare che a volte è necessario mettere in discussione l'equilibrio faticosamente raggiunto per poter tornare ad amare. La botta finale arriva dalla lunghezza del film, che dilata tediosamente la storia appesantendola ulteriormente. Il fallimento nella realizzazione del film sarebbe questione di poco conto se non dispiacesse vederci impigliata dentro Julia Roberts, tuttora il sorriso più luminoso del cinema contemporaneo e cinegenia pura. Era già stata poco digeribile la sua presenza distratta in Appuntamento con l'amore, poco più di un cameo in un disastro corale senza pretese, ma qui la Roberts ha creduto fortemente nel progetto ed ha messo in gioco la sua immagine. Urge una terza rinascita, e come insegna la Streep può capitare in qualunque momento. Fra le apparizioni maschili, chi ne esce meno peggio è ovviamente Richard Jenkins, mentre il più fastidioso è il sempre deleterio James Franco.