TRAMA
Maniaca della pulizia e della preparazione prima delle scene su di un set, la diva hollywoodiana Joan Crawford è in declino e non riesce a rimanere incinta. Adotta Christina, che subirà la sua disciplina, fino a ribellarsi.
RECENSIONI
Un’opera in qualche modo rappresentativa della considerazione critica sulle opere del sottovalutato Frank Perry, che ha senz’altro dato il meglio di sé quando era legato alla militante femminista Eleanor Perry e componeva film sociologici e simbolici (David & Lisa, I Brevi Giorni Selvaggi e Un Uomo a Nudo sono capolavori) ma che, anche in seguito, ha continuato a restituire spaccati psicanalitici e sull’incomunicabilità relazionale con punti di vista (anche stilistici) non banali, mischiando spesso melodramma e ironia. Nella peggiore delle ipotesi, se votato a un cinema più commerciale, ha sempre abbracciato le anomalie e, fedele alla linea del suo folgorante esordio, ha sempre reso protagonisti il racconto e il disegno dei personaggi. In questo caso, l’adattamento dell’omonima e velenosa autobiografia (1978) della figlia adottiva di Joan Crawford, nonostante il successo al botteghino, è stato massacrato dalla critica (fino al Razzie Award), soprattutto basandosi sull’assunto che, involontariamente (ma non è così), da mélo è risultato comico (e “camp”, fino al culto), grazie anche all’interpretazione sopra le righe di Faye Dunaway. Un processo alle intenzioni, dunque: in realtà, proprio dell’eccesso che diventa anche inquietante, della tragedia che, attraverso il grottesco, si trasforma, previa catarsi, in potenza drammaturgica, il film si fa forte e indimenticabile. Lo sa Feud di Ryan Murphy, che nasce tutto qui. Fra gli sceneggiatori, non accreditato, anche Abraham Polonsky.