TRAMA
Luis, un insegnante di letteratura disoccupato, cerca di soddisfare l’ultimo desiderio della figlia dodicenne Alicia, malata terminale di cancro: possedere il costume ufficiale della serie a cartoni animati Magical Girl Yukiko. Il prezzo elevato del costume fa entrare Luis in una catena di insoliti e oscuri ricatti che coinvolge Damián e Barbara, cambiando la loro vita per sempre.
RECENSIONI
Chi è la ragazza magica?
Una bimba danza davanti a uno specchio, poi si affloscia al suolo. Una ragazzina senza volto schiude il pugno e, dove prima c'era un messaggio crudele, ora c'è solo il vuoto. Più avanti, riecco le sue mani: allacciano le scarpe eleganti di un uomo, poi lentamente si interrompono, alle parole struggenti di un altro messaggio, d'amore. E ancora: un abito da popstar manga costa la vita a qualcuno. Sulla fronte di una donna scorre una perfetta linea insanguinata, la marchia come un sigillo incantato, o come una maledizione.
Il cinema di Carlos Vermut è un sistema di segni. Geometrico e circolare, metatestuale e trasversale (come lui, filmmaker e fumettista, fanatico di De la Iglesia e di Akira Toriyama). Una coreografia congelata di gesti e accadimenti che sottendono una ritualità impalpabile, inesorabile, un DNA di tragedia e uno sfarfallio di surreale straniamento. Cerebrale, e al calor bianco. Un equilibrio impossibile, almeno stando alla teoria del signore del castello delle torture, sadico Barbablù che invita nelle sue stanze mostruose una (anti)eroina dallo sguardo diafano, discettando della frattura interna fra viscere e ratio che genera una nazione scomposta, squarciata e involuta (per tutto il film un coro mesto verbalizza l'amarezza per una classe politica, quella spagnola, statica e ostile, e per i media, armi banali di distrazione di massa).
Ma l'armonia efferata di Magical Girl compie invece il miracolo: l'unione tra opposti, l'accensione fiabesca e l'abisso del perturbante dietro una porta chiusa. In un cinema che vive di simboli significanti – la lucertola nera, le stimmate sul viso, la bacchetta magica, la Costituzione – e silenti, misteri da riempire con amori pregressi, con passioni cinefile sollecitate, solleticate, sovraeccitate dal metodo alchemico di Vermut.
Le tre storie (non per nulla, il numero perfetto) si biforcano, si incontrano, e ineluttabilmente si ritrovano, su una scacchiera-gabbia che prevede sensi unici e raccordi predestinati; un circuto chiuso i cui fantasmi dagli occhi grandi vengono interconnessi da un numero di magia, da un soffio che innesca l'effetto domino drammaturgico.
Ecco, la magia: la aspettiamo, la intuiamo, la soffriamo, vorremmo interrogarla, ci sfugge, ci domina. Barbara, in fondo, nel twist più semplice del mondo, è il cinema: creatore di illusioni, fulgido prestigiatore, fantasista immortale. È innocente e vendicativa, il suo trucco ci tiene in scacco: il pericolo di lasciarsi andare a lei, al sublime credere che trasforma in pazzi, come Damián. Una meravigliosa trappola, una magia manipolatoria che chiama un altro giro, e il desiderio, nonostante tutto - nonostante la morte: “Voltati” - di continuare a guardare.