Azione, Fantascienza, Recensione

MAD MAX: FURY ROAD

Titolo OriginaleMad Max: Fury Road
NazioneAustralia / U.S.A.
Anno Produzione2015
Durata120'
Interpreti
Fotografia
Scenografia
Musiche

TRAMA

Max viene catturato dai Figli di guerra capitanati dal despota Immortan Joe. Intanto Furiosa sta guidando la Blindocisterna verso Gas Town. E poi, insomma, inseguimenti, polvere, motori, lamiere, esplosioni e sangue.

RECENSIONI

Strana carriera quella di George Miller. Dopo aver settato gli standard del postqualcosa postmoderno con la Mad Max Trilogy, si è dato all'edulcorazione di Updike (Le Streghe di Eastwick), al drammastrappalacrimetrattodaunastoriavera de L'olio di Lorenzo per arrivare al tenero maialino Babe e ai pinguini musical-i di Happy Feet. Boh. Poi, a 30 anni da Oltre la sfera del tuono, decide di tornare a narrare le gesta di Max Rockatansky in quello che potrebbe essere un sequel, un remake o un reboot.

In realtà, anche fra i tre episodi originali c'è una consecutio un po' complessa: è sempre mancata una continuity degna di questo nome, ci sono delle evidenti ambiguità (si pensi ai personaggi di Gyro e Jebediah nel II e III capitolo, diversi ma simili fino al sovrapponibile, entrambi interpretati da Bruce Spence) e, insomma, più che di saga si potrebbe parlare di un continuo ritorno sullo stessa tema con variazioni e cambiamenti di tono. Il primo film, infatti, era un revenge movie anni '70, poliziesco futuristico dal ritmo zoppicante, non privo di scivoloni (l'idillio amoroso pre-tragedia) con quelli che sono solo accenni alla post-apocalisse che sarà. Road Warrior, senza tanti giri di parole, è IL Mad Max per antonomasia, quello entrato nell'immaginario - non solo cinematografico - collettivo, ispiratore di mille epigoni più o meno improbabili (I nuovi barbari di Castellari o I Predatori dell'anno Omega di David Worth, con il sound design più demenziale della Storia del Cinema). Beyond Thunderdome, infine, si rimangiava la cupezza dei primi due capitoli e smussava gli angoli, configurandosi quasi come uno juvenile 'alla Mad Max', con derive quasi spielberghiane.

E Fury Road? Riparte decisamente dal secondo capitolo, del quale condivide molti tratti narrativi (la 'fuga con la cisterna') e visivi, con i mezzi di trasporto copiati e incollati e alcuni (ormai iconici) stralci di sequenza riproposti tali & quali. E lo stesso senso di disperazione postapocalittica da prendere sul serio, priva di speranza e redenzione. Sembra un discorso stupidotto e parecchio passé ma c'è del vero. il quarto Mad Max, uscito e visto oggi, nel 2015, appare davvero come un corpo estraneo, un oggetto divergente, una boccata d'aria contaminata e polverosa. Miller non si preoccupa di dare troppe spiegazioni, il suo antieroe è davvero anti-, non è privo di debolezze e paure, non si atteggia, non (s)parla e l'unico slancio di impeto vendicativo è relegato fuoricampo, dissimulato e (quindi) disinnescato. Intorno, una fotografia virata al desertico, pseudostrutture socio/religiose tratteggiate ellitticamente, con dettagli privi di sfondo, quindi ancora più vere e potenti, una sotterranea ironia postmoderna (l'apparizione delle madri, tipo 'miss maglietta bagnata') e la solita schiera di mad men gratuiti e completamente fuori di testa, con la palma d'oro da assegnare al guitar hero Coma-Doof Warrior (sic) armato di chitarrona bimanico sputa fuoco.

Poi c’è l’azione. Le due ore di Mad Max: Fury road sono un lungo assalto alla diligenza de-digitalizzato, furioso ma non sguaiato, crudo ma non becero, frenetico ma intelligibile, con una scansione ritmica che fa leva sulla costanza e la precisione, più che sulla corsa ai bpm impazziti. E’ tutta vera gloria? Difficile dirlo. O meglio: difficile distinguere i meriti intrinseci dai demeriti estrinseci. Nel cinema contemporaneo, la figura dell’antieroe al grado zero [ossia non (eccessivamente) autoironico] è un po’ in disuso, l’apocalisse è ludica (Emmerich), plastificata (World War Z) o Über-intellettuale (Von Trier) e gli inseguimenti in auto sono quelli Hot Wheels della serie Fast&Furious. Generalizzando un po’, eh, ma si fa per capirsi. Ecco che questo Max Rockatansky impaurito e laconico (dirà 50 parole in tutto il film), questo Mad World credibile nella sua indefinitezza, questo vorticare di lamiere e motori che si accartocciano ed esplodono senza cafonate inutili, ecco che tutto questo, si diceva, appare incredibilmente estraneo, quasi nuovo e inesorabilmente cazzuto.

Tom Hardy ci è parso efficace ma dispiace sentirlo doppiato, la Theron perfettamente a suo agio e, come si dice, in parte. Immortan Joe, il cattivo pustolato, è Hugh Keays-Byrne, già Toecutter nel Mad Max originale, con ovvie conseguenze/ripercussioni nel citato ambito continuità: è “quel” villain, una sua re-interpretazione/evoluzione o qualcosa di completamente diverso?

Scandito da tre strepitose sequenze d’assalto al camion cisterna, è il sorprendente ritorno di George Miller alla creatura che gli ha dato notorietà, alla natia Australia (per scene aggiuntive: il più è stato girato nel 2012 nel deserto della Namibia), all’umanità imbruttita e all’azione crudele senza edulcorazione (la gravida e il feto sbattuto sul tavolo…). Evita l’upgrade per l’era degli effetti digitali e s’affida a mirabili coreografie e stunt coordinati dal regista della seconda unità, Guy Norris. La sua fantasia con generosità d’invenzioni si fonda su di un’immane preparazione di storyboard (migliaia di tavole/vignette) per centinaia di ore di girato, superbamente montate dalla moglie Margaret Sixel, in grado di preservare coerenza e climax senza sacrificare la generosità di dettagli. Cittadella a parte (replica meccanica delle città azteche, con religione simile ma infettata dal Valhalla), le idee sono tutte esibite nelle tecniche d’attacco degli indiani alla diligenza: arpioni e aratri, aste flessibili e abbordanti, moto con granate in volo, carri-armato-riccio, lame rotanti e kamikaze. Tocco geniale: l’esercito punk galoppa sulle percussioni di un carro carnevalesco, con esibizione di acrobati e accompagnamento di chitarrista metal folle-inquietante sorretto da nastri elastici (Iota, musicista australiano). Manca Mel Gibson e Tom Hardy lo fa rimpiangere ma Charlize Theron compensa, indimenticabile senza braccio e rasata a zero. È disponibile, anche, una versione “Black and chrome” con conversione bicromatica, curata dallo stesso Miller (che ha anche ideato, per il 3D, cineprese più maneggevoli). Uno dei migliori film d’azione della storia del cinema.