TRAMA
La scomparsa di una pistola della polizia viene collegata a una recente serie di furti e omicidi. Il suo proprietario, Wong, è svanito tempo prima mentre inseguiva un sospetto criminale tra i monti, mentre il suo collega Chi-Wai è tornato miracolosamente illeso. Ho, l’ispettore dell’unità speciale anticrimine regionale, è incaricato dell’indagine sul serial killer e sa che l’unica possibilità di risolvere il caso è chiedere aiuto al suo mentore ed ex capo Bun, il quale era considerato da tutti un esperto criminologo finché, vari anni prima, non è impazzito. Bun ha il dono di vedere nell’animo delle persone, là dove sono messi a nudo i desideri subconsci, le emozioni e lo stato mentale di ognuno: per l’ex poliziotto, queste sono le chiavi per scoprire l’identità di un assassino.
RECENSIONI
La “sorpresa” del festival
Johnnie To è uno dei registi più famosi di Hong Kong. Da qualche anno a questa parte la sua spiccata propensione per l'action-movie e il cinema commerciale non scoraggia i festival cinematografici più prestigiosi, che si contendono le sue opere. Prolificissimo (solo dal 2004 a oggi ha diretto ben otto lungometraggi), questa volta To abbandona scontri tra bande rivali e cruenti regolamenti di conti per affrontare un giallo classico. C'è un serial killer, un poliziotto misteriosamente scomparso e un ex-poliziotto veggente che, andando sui luoghi dei delitti, attraverso l'intuizione capisce sempre chi è l'assassino. Il problema è che lo sciamano è un po' suonato e vede, e noi con lui, la realtà distorta, immaginando persone che non ci sono. Inutile dire che il fascino di questa trovata (la frase di lancio è "Niente è come sembra") esaurisce in fretta le sue potenzialità. Troppi capovolgimenti poco chiari tra ciò che è e ciò che si pensa che sia finiscono infatti per togliere mordente al plot, limitandosi a confondere le idee e a stemperare il già pallido interesse. Costantemente urlato e non facile da seguire nei continui cambi di prospettiva, il film arriva poi a una conclusione che sembra copiata paro paro dal thriller Identità di James Mangold. Di minore impatto, rispetto al solito, anche i virtuosismi visivi del regista hongkonghese e stridenti alcune digressioni umoristiche (o pseudo tali). Non manca, infine, la sequenza marchio di fabbrica di To, con la sparatoria a effetto domino dagli esiti grotteschi, in cui ognuno punta la pistola verso qualcuno ed è a sua volta bersaglio di un altro. Francamente non si capisce cosa ci faccia un film del genere in Concorso al Festival di Venezia, tra l'altro inserito all'ultimo momento come "sorpresa". La vera "sorpresa" è stata trovarlo in programma.