Commedia, Drammatico, Recensione

L’UOMO FEDELE

Titolo OriginaleL'homme fidèle
NazioneFrancia
Anno Produzione2018
Durata75'
Montaggio
Scenografia

TRAMA

Marianne e Abel si amano e vivono insieme, almeno fino a quando Marianne non lascia Abel perché aspetta un figlio da Paul, il miglior amico di Abel. Marianne lo sposerà presto e lui deve andarsene, in fretta. Abel non oppone resistenza e se ne va come fosse niente ma non è niente. Nove anni dopo, il cuore di Paul si ferma. Abel e Marianne si rivedono al funerale…

RECENSIONI

Che strano, amabile film questo di Louis Garrel, una commedia che muove dalla quotidianità dei sentimenti per metterli di fronte a timori atavici (quello dell’abbandono, del tradimento) in termini che sarebbero normalmente appannaggio del dramma e che, mantenendo una certa cupezza di tratto, esasperandone il principio attivo, e imponendo al gioco relazionale geometrie inflessibili, si trasformano, paradossalmente, in materia umoristica. Ne scaturisce un ritratto di coppia di realismo improbabile, ma non impossibile, in cui Lui, Abel (un nome che è una dichiarazione di innocenza - si chiamava così anche il protagonista del primo film da regista di Garrel, Deux amis -, in un film che ai nomi biblici delega un livello simbolico), è uomo in totale balia della sua passione per Lei, Marianne, pronto a rimettersi completamente al suo volere: abbandonare la casa in cui convivono, allontanarsi, riavvicinarsi, rimettersi insieme fino al paradosso di un tradimento imposto dalla donna, diavolo e angelo, perverso demiurgo che sperimenta il suo potere lanciandolo tra le braccia di Ève e rinnovando il primario triangolo, stavolta invertendone i termini. Un gioco manipolatorio che finisce con l’innescare relazioni davvero pericolose (Laclos è sempre in agguato) perché amore e sesso, al di là delle naturali pulsioni, finiscono con l’essere sempre al centro di un calcolo. La storia, intanto, offre uno spettro di prospettive, consentendo a ciascuno di descrivere e sviscerare il proprio punto di vista in una polifonia (le voci fuori campo) che intona passioni e gelosie: un racconto mutevole, come lo sono le versioni dei fatti che vengono fornite, e dunque inafferrabile, composto, come risulta essere, di verità incomplete, silenzi, bugie, clamorose rivelazioni. Tutto è allora ambiguo e dubbio, in un quadro che sfuma di continuo i suoi contorni e al centro del quale c’è sempre e solo il discorso sull’attrazione, come se i protagonisti non vivessero che di questo. E dove i caratteri di contorno alimentano l’imperscrutabilità dell’intreccio: il fantomatico Paul, che non si vede mai e che, anche prima della sua morte, rimane semplicemente narrato; Joseph, bambino tutt’altro che innocente, osservatore e implicito epicentro degli intrighi dei grandi, consapevole ago della bilancia, mosso da fini personali e con una strategia distruttiva che è già adulta.

Garrel mentre sembra interessarsi soprattutto ai personaggi - gli sta letteralmente addosso, con quei primi piani strettissimi che esauriscono nel loro volto lo schermo - porta avanti un lavoro sui toni e sulle atmosfere che ha del sopraffino, complice una sceneggiatura (scritta con un veterano del calibro di Jean-Claude Carrière) di scrittura minimalista, ellittica, allergica alla psicologia. È con queste scelte, di stile e di impianto, che il film costruisce il suo carattere. E giocando di azzardati contrasti: allude a profondità abissali, ma lascia tutto in superficie; si ambienta al presente, ma si affida a formule letterarie che profumano di passato; sottintende ponderose riflessioni filosofiche, ma sceglie il registro della leggerezza truffauttiana; si presenta teoremico, ma a questa impressione oppone una spigliatezza che sa di improvvisazione; mette in campo una materia che altri dipanerebbero in almeno due ore e invece, con ritmo costante e sapiente sintesi, concentra tutto in una durata felicemente breve.