TRAMA
Nel Dopoguerra, il romano Joe Morelli fa soldi girando provini nei piccoli paesi siciliani, millantando che li farà visionare ad un importante produttore cinematografico. Una ragazzina orfana, sognatrice, gli sta incollata.
RECENSIONI
Dopo Nuovo Cinema Paradiso, un altro viaggio all’interno dell’anima e della cultura siciliana, attraverso il (meta)cinema, da parte di Peppino Tornatore, che conferma le proprie doti nel saper mescolare, all’americana, spettacolo, commozione, professionalità nella confezione ed inventiva formale con l’impegno di temi umanamente profondi e importanti, sorretti da sceneggiature (finalmente) ben calibrate su racconti originali e potenti. L’imbroglione cinematografaro romano, che guarda con superbia alla miseria e all’ignoranza degli uomini siciliani cui vende i sogni, commette la colpa più grave nel momento in cui non si rende conto del patrimonio umano, dei brandelli d’eternità che con la macchina da presa sta strappando; della magia della macchina-cinema quando fa confessare i muti, evoca la verità, coglie la genuinità e dona la voglia di sperare a tutti, poveri, politicanti, poliziotti, briganti, intellettuali, omosessuali, emarginati; dell’importanza della cinepresa nell’immortalare i passaggi storici (il garibaldino, le lotte comuniste e tutte le minute testimonianze veraci), nel restituire ai posteri la memoria (tema fondante la poetica di Tornatore). Joe Morelli usa il suo obiettivo nella veste peggiore, quella che vende fumo, vane illusioni a scopo di lucro, sfruttando le aspirazioni, i sogni di evasione, alla stregua di certe istituzioni di potere nei confronti di un’isola violenta, tragica, passionale (non mancano due bollenti scene di sesso), contraddittoria ma sempre pronta a credere a chi le promette le Stelle. Con un espediente neorealistico, Tornatore, per gran parte del film, colleziona volti e testimonianze fino a rischiare la ripetitività episodica ma sa, poi, emanciparsi per toccare le emozioni dello spettatore con l’affare di cuore, la tristezza del rimorso, la rabbia dell’ottusità, il pessimismo. Grande Sergio Castellitto. Premio della Giuria a Venezia.