Drammatico, Recensione

L’UOMO DELLA PIOGGIA

TRAMA

Un giovanissimo legale si occupa di un caso di frode che vede coinvolta una delle più grandi società assicurative degli States…

RECENSIONI

Legal thriller che passione: c’è chi si specializza nel genere (Schumacher, che, dopo il non del tutto disprezzabile “Cliente”, ha dato il peggio, non soltanto di sé, con “Il momento di uccidere”) e chi, più modestamente (più saggiamente?), si limita a un tentativo.
Coppola si cimenta con la (solita) storia dell’avvocato novello alle prese con i pezzi grossi (e corrotti fino al midollo, ça va sans dire) del sistema: tutte le previsioni sono contro di lui, ma la purezza di cuore, una buona dose di follia e i consigli di un quasi – collega abbondantemente navigato gli consentiranno di trionfare senza dover tradire i propri ideali. Insomma, un discreto mattone in testa, anche per il regista (il titolo originale la dice lunga su chi debba essere ritenuto il vero Aurore dell’opera).
Bisogna dire che Coppola fa il possibile per salvare la situazione: trascura, o almeno mette in secondo piano, il quadro (il processo) e si dedica alla cornice a due livelli, patetico (il malato terminale e la sua famiglia, la ragazza vittima del consorte) e buffo (la fauna che prolifera nello studio di Bruiser, la vecchia burbera, ben poco benefica); sottrae (negli angusti limiti dell’hollywoodianamente lecito) al protagonista spazio da consacrare ai comprimari, affidati a grandi attori di granitica esperienza (memorabili l’avvocato del diavolo Voight, i cui sguardi valgono un film, e quello di cartapesta DeVito, irresistibile) o a rentrée di lusso (Rourke, un autentico prodigio nei panni del leguleio maneggione); mette la sordina al molesto violino della retorica, cercando un tono “colloquiale” ma non piatto, adatto agli eroi della vicenda, le vittime silenziose di un ordine “superiore” e tirannico (in fondo non dissimile da quello che dominava nei “Giardini di pietra”).
Fatica sprecata. Il film ristagna, inutilmente (inevitabilmente?) verboso, manicheo a un livello da fumetto (il cavaliere impavido contro le seduzioni del male incarnate dal connubio industria-avvocatura), poco interessante nonostante l’indubbia cura formale e la recitazione mediamente passabile (Damon è nato per la parte, lo sa e vi sguazza come un paperotto, la Danes può riciclare la sua Giulietta perseguitata e quindi non è troppo a disagio). L’effetto finale è quello di un minuetto fuori tempo (massimo), una coreografia graziosa e sterile, un divertimentolarmoyant abbastanza soporifero.