TRAMA
Ascesa e caduta dei Cammarano, vanto della malavita partenopea.
RECENSIONI
Luna rossa non concedendo nulla al gusto corrente, si propone come film difficile e sgradevole, non solo adattamento del modello tragico greco a una realtà similmente tribale ma anche ritratto (anti)naturalistico dell'ambiente camorristico, antidoto necessario a tanta (telefilmica) qualunquità sull'argomento che, come già sottolineato, a proposito dell'apprezzabile Placido Rizzotto, sembra andare a costituire un (tristo) genere filmico a se stante. Capuano percorre la strada di una rappresentazione straniata e frammentaria, piena di lampi intuitivi e soluzioni originali, non ha paura di fare avanguardia povera con questo suo film nudo e imperfetto, ballo letale ipnotizzante che ottunde i sensi e appanna la ragione. C'è molto del nuovo teatro napoletano in quest'opera disperante e crudele, nell'artificio esasperato della messinscena, nel tono smaccatamente letterario e improbabile dei dialoghi, c'è quella studiata sciatteria che si ritrova in certi laboratori teatrali (realmente) alternativi in cui a pronunciare la parola "arte" non ci si riempie la bocca nè lo stomaco. Luna rossa procede per sipari estetizzanti, è un film meticcio, figlio di quella cultura ibrida e indisciplinata che dopo tanto oscurantismo lancia, in questi anni, alto il proprio grido. Se il nucleo è l'Orestea e la tragedia classica, il fitto groviglio di uccisioni, tradimenti incrociati, incesti, morbose relazioni è filtrato secondo un registro in cui tradizione e sperimentalismo si coniugano e si respingono. Senza paura di essere volgare o pesantemente simbolico, Capuano firma il suo film migliore, miscelando la sperimentazioni della videoarte alla triviale cascata di immagini delle tv locali, Eschilo a Mario Merola, inserendo una base house sullo scorrere delle immagini di un funerale, azzardando senza pudore alcuno con immagini fulminanti e dure come roccia, lasciando dominare un'atmosfera pesantemente mortifera, spezzettando la narrazione, alter(n)ando i toni.
Luna rossa è cinema vivo che trasuda morte, cinema contaminato che in Italia non fa (quasi) nessuno, coraggioso e perdente. Pasoliniano. È la conferma che la scena napoletana costituisce l'unica proposta autorevole che il panorama nostrano possa vantare contro il cinema piacione e banalmente populista che la fa da padrone in questo periodo: proposta oltre le mode, oltre il botteghino, oltre tutto. Servito da attori magnifici che agiscono in scene quasi vuote, con pochi scarni arredi, affidandosi all'eccesso delle tinte, eliminando sfumature e chiaroscuri, l'opera, pur nei suoi difetti [la seconda parte appare più meccanica, (de)generata com' è dal rigoroso schema di partenza], rimane memorabile, scomoda e spiacente incisione su pellicola di un ancestrale livore, la rabbia epica di un'umanità abbandonata a se stessa in certe violente terre di nessuno. Vedi il Mezzogiorno. Vedi la Campania. Vedi Napoli (e poi muori).
