TRAMA
Capodanno romano, vari personaggi in un condominio: la moglie tradita medita vendetta, il gigolo si dà da fare, l’avvocato si diverte con il sadomasochismo, e così via.
RECENSIONI
Vero botto di Capodanno, ha rischiato di affondare la carriera di Marco Risi questo suo coraggioso tentativo d'innestare il pulp di matrice anglosassone nella tradizione farsesca della commedia all'italiana, appellandosi al più noto scrittore nostrano del genere, Niccolò Ammaniti. Budget sostanzioso, ricco cast, provocazioni a non finire che al botteghino non hanno funzionato, costringendo il regista a ritirare la pellicola dalla distribuzione, rimontarla e riproporla con registro più comico un anno dopo nell'indifferenza generale. Sei appartamenti, quindici personaggi, varie situazioni pittoresche: minimo comune denominatore è la finzione violenta che sottende i rapporti interpersonali e la società tout court (piccolo schermo aggressivo compreso), ma l'allegoria apocalittica stenta a prendere il volo, la commedia nera non controlla i tempi e la visione d'insieme, andando ad esaurirsi in una serie di scenette che non divertono né graffiano. Monica Bellucci (per altro bravissima) gira ignuda per un bel po', Alessandro Haber chiede la "pioggia dorata" e si ritrova addosso una suicida moribonda, Adriano Pappalardo si dimena come King Kong, il fantasma di Heidi si materializza accanto ad una caldaia che sembra uscita fuori da Nightmare, Beppe Fiorello si dà a La Dolce Vita, Tarantino, Sam Raimi, Monicelli e Sandro Baldoni (Strane Storie) continuano a bussare alla porta per incontrare le loro storie di ordinaria follia e restituirle con senso, ferocia e spettacolarità. Risi non apre, affonda metà del film in un grottesco anonimo ma ha la felice intuizione di abbandonarsi al Grand Guignol nella parte finale. Il Delirio dell'Umanità entra nel suo microcosmo con tutta l'irruenza di un terremoto, lasciando dietro di sé una scia di orrore/trash, logiche assurde, crudeltà gratuite che segnano la visione.