TRAMA
Un uomo è condannato a morte, accusato dell’omicidio di due bambini quale membro del Ku Klux Klan. Il nipote avvocato decide di difenderlo.
RECENSIONI
Non è l’ultimo appello per il dramma giudiziario tratto dall’ennesimo romanzo di John Grisham: James Foley torna dalle parti del suo A Distanza Ravvicinata, e il tutto acquista spessore, usando il crimine per la messinscena di una potente ed introspettiva tragedia familiare. È anche un commovente dramma etico dove, al pamphlet contro la condanna a morte, s’affianca l’invettiva contro il razzismo radicato nel profondo sud statunitense e l'opportunismo politico. L’invito a spezzare, con il perdono, le spirali d'odio e violenza, difendendo l’indifendibile, trova le proprie ragioni: il ruolo del malvagio viene spesso cucito addosso dagli altri e contempla una sorta d’identificazione con la propria maschera; il singolo non dovrebbe pagare per tutti, quando è palese, nella sua formazione psichica, la complicità del Sistema e dell’ambiente culturale in cui cresce; l’orrore di un crimine ignobile (la bomba nella scuola) non è poi tanto dissimile dalla barbarie di un’esecuzione di Stato (Foley giustappone i due episodi, uno per immagini l’altro in forma di racconto). Nel momento in cui rinveniamo dei barlumi d’umanità nel cuore dell’assassino (straziante l’incontro di Hackman con la figlia Faye Dunaway), siamo costretti a fuggire impotenti, come Chris O’Donnell, davanti all'orrore della pena capitale. Non è certo la novità dell’argomento a colpire (dello stesso periodo sono anche Dead Man Walking e Difesa ad Oltranza), ma la vigorosa ed accorata analisi psicologica, resa ancora più credibile dalla magistrale prova di Gene Hackman.