Recensione, Thriller

L’ULTIMA PORTA

Titolo OriginaleThe Lazarus Child
NazioneU.S.A.
Anno Produzione2004
Genere
Durata95'
Sceneggiatura
Fotografia
Scenografia
Costumi
Musiche

TRAMA

Una bambina rimane vittima di un incidente e cade in coma, il fratello si sente in colpa ma sta decisamente esagerando. I genitori decidono di affidare la figlia (che intanto appare al fratello in forma spettrale, con tanto di occhi bianchi… perché?) alle cure non ortodosse della dottoressa Chase, che attaccando qualche elettrodo fasullo e attivando macchinari improbabili sembra poter fare miracoli (leggi: entrare “fisicamente” nei pensieri della gente e scambiarci due chiacchiere, da mente a mente). I personaggi, intanto, si riappacificano e/o si innamorano, ma la vera protagonista diventa la nonna che fingendo un infarto toglie le castagne dal fuoco. Il resto è anche peggio.

RECENSIONI

Spacciato per Horror da una distribuzione italiana per la quale prima o poi arriverà una nuova Norimberga, The Lazarus Child (L’ultima porta, traduzione davvero ineccepibile) è in realtà un crimine contro l’umanità, il che ci riporta a Norimberga e il cerchio è già bello che chiuso. Sul film c’è ben poco altro da dire. Avendo dunque un po’ di tempo da perdere, apro una parentesi personale per dire che mi ero ripromesso, nel mio piccolo di recensore spietato, di non scendere mai sotto il 3 in pagella per intuibili motivi non meglio specificati. Dopo una breve seduta di autoanalisi, ho però capito che ciò che mi spinge(rà) a usare questi toni da “stroncatura adolescenziale” a corredo di un 2 (due) secco è la Vergogna. A un primo livello, diciamo, “critico” il film è vergognoso da tutti i punti di vista: Graham Theakston l’ha girato con un pessimo bignamino della “regia invisibile” tra le mani, guardandosi bene dall’applicare qualche risorsa linguistica diversa, e più dignitosamente gestita, da un piano americano o un campo-controcampo; Ronald Bass, a volerlo immaginare intellettivamente normodotato, deve averlo scritto in evidente stato confusionale perché non solo non si è curato di dotare la vicenda di un qualche motivo di interesse ma l’ha infarcita di incoerenza interna, buchi narrativi, semplici idiozie, amnesie e annichilenti boiate para-medico-scientifiche; in tale contesto poco meno che apocalittico, gli attori danno il comprensibile peggio di sé, con menzione speciale per Andy Garcia che sfoggia un’interpretazione di espressività minerale. Ma la vergogna più grande, quella decisiva, è stata quella mia personale. Le luci in sala hanno acceso come un riflesso pavloviano che mi ha spinto a vergognarmi di essere dov’ero, a evitare gli sguardi dei miei colleghi spettatori e a precipitarmi fuori dal cinema a testa bassa, bofonchiando tra me e me in feroce polemica con me stesso. E poi, sì, mi sto attualmente vergognando di aver scritto una recensione del genere. Film consigliato a chi ancora non conosce vergogna.