Drammatico, Noir, Recensione, Sala, Thriller

L’ULTIMA NOTTE DI AMORE

TRAMA

Di Franco Amore si dice che è Amore di nome e di fatto. Di se stesso lui racconta che per tutta la vita ha sempre cercato di essere una persona onesta, un poliziotto che in 35 anni di onorata carriera non ha mai sparato a un uomo. Queste sono infatti le parole che Franco ha scritto nel discorso che terrà all’indomani della sua ultima di notte in servizio. Ma quella notte sarà più lunga e difficile di quanto lui avrebbe mai potuto immaginare. E metterà in pericolo tutto ciò che conta per lui: il lavoro da servitore dello Stato, il grande amore per la moglie Viviana, l’amicizia con il collega Dino, la sua stessa vita. In quella notte, tutto si annoda freneticamente fra le strade di una Milano in cui sembra non arrivare mai la luce.

RECENSIONI

Il longtake in plongée dei meravigliosi titoli di testa - senza dubbio tra i più belli visti nel cinema italiano recente -  ad osservare fatalmente dall'alto una Milano tanto affascinante quanto cupa e spettrale, è già un'evidente dichiarazione, se non d'intenti, quantomeno di sentimenti. Ce lo dice l'incedere tesissimo dello straordinario tema musicale di Santi Pulvirenti e ce lo dice anche il titolo: quello che vedremo di lì a poco sarà il racconto di un'ultima notte, un capolinea, la fine - di un'onoratissima carriera o di una vita -, un punto e mai più a capo. Una corsa immobile verso il termine dell'oscurità, un inciampo beffardo a poche ore dal traguardo, Milano che nel perdere (l') Amore, perderà probabilmente anche l'ultimo baluardo di giustizia, di onestà e di lealtà che le erano rimaste. In quella veduta aerea dunque, l'onnipotenza di un destino silenzioso che sorveglia una città, l'ingresso spaventoso in un mondo - e quindi in un genere - governato da leggi proprie, da codici nerissimi in grado di stritolare chiunque; perfino i giusti, deboli agli occhi di tutti perché non hanno mai sparato; perfino coloro che sono pieni d'amore.

Dopo due film dal cast e dalle ambizioni platealmente internazionali (Escobar con Benicio del Toro e The Informer con Rosamund Pike, Clive Owen, Ana De Armas), Andrea Di Stefano guarda finalmente all'Italia, ingaggiando l'attore nostrano più bravo e popolare del periodo per farlo duettare con una straordinaria Linda Caridi - femme la cui risolutezza fa da contrappunto alla presunta debolezza del marito: eccellente la scrittura e la chimica tra i due - e ritorna in quella Milano che nei grigi anni '70 aveva fatto da palcoscenico ideale per i noir di Fernando Di Leo e Umberto Lenzi. Eppure ne L'ultima notte di Amore non c'è traccia di quella violenza, di quella messa in scena sporca e furiosa che caratterizzava il poliziottesco; permane, come si diceva, quel generico e invincibile senso di sconfitta e stallo esistenziale tipico del noir, ma la grandezza del film sta anche nelle straordinarie geometrie disegnate all'interno dei pochi spazi in cui si sviluppa l'azione, in un'architettura narrativa che usa magistralmente il tempo per comprimere gli eventi e invertire di segno le situazioni (la festa) e in una calibratissima costruzione delle immagini, dove le ombre e i chiaroscuri sono sempre elementi significanti e coerenti, mai gratuitamente estetizzanti. Basti pensare al meraviglioso finale, in cui sarà proprio un'ombra (reale? immaginata? simbolica?) a sancire la fine della corsa, oppure alla lunga ed esaltante sequenza del trasporto in autostrada, quando la minaccia imminente passa attraverso la valutazione soggettiva dello sguardo, peraltro moltiplicato e frammentato dall'insistenza sugli specchietti retrovisori.

Di Stefano insomma, non guarda superficialmente al passato, non rifà banalmente il genere, piuttosto lo evoca, o meglio, ne evoca un sentimento, un approccio, un desiderio, per poi renderlo più attuale e contemporaneo che mai. È un film di oggi e sull'oggi, L'ultima notte di Amore, non perché gli interessi dire grandi cose su questo presente (forse pure lo fa, però vivaddio non è mai il motore ultimo dell'azione), ma perché finalmente parla, comunica, emoziona, esalta, intrattiene con immagini di oggi, presenti, urbane, metropolitane, nerissime. Senza la sterilità della copia, senza alcun vilipendio di immagini e intenzioni cadaveriche del passato, senza l'urgenza della denuncia sociale a tutti i costi. Nella produzione più popolare nostrana, forse bisogna tornare al bellissimo Suburra di Sollima, per ritrovare un'adesione altrettanto fideistica, appassionata e contemporanea ai codici del genere, uno sguardo altrettanto desideroso di raccontare prima che di dire.
That's Amore: per il genere, per le immagini, per il cinema.