
TRAMA
Nel Dakota, due cacciatori di bisonti uniscono le loro forze per abbattere più capi. Uno dei due, però, è un sanguinario: ama uccidere e sequestra anche una donna indiana. L’altro, stanco della violenza, inizia ad opporsi.
RECENSIONI
Primo e grande western di Richard Brooks, regista sempre propenso a trattare temi di un certo peso, con riflessioni (e condanne) sulla violenza e la sua genesi, in romanzi di formazione a volte (come qui) schematicamente edificanti, con forzature che assecondano il manicheismo, l’individuazione precisa di giusto/sbagliato, comunque encomiabili nell’impostazione di una polemica, di una presa di coscienza sposata al solido e tradizionale impianto spettacolare hollywoodiano, coinvolgente, appassionato, crudo e drammatico. La sua sceneggiatura parte da una tematica animalista (lo sterminio dei bisonti: i capi abbattuti che vediamo sono stati “rubati” alle riprese di tiratori scelti ingaggiati dal governo) e arriva a disquisire sulla necessità o meno dell’uccidere, contrapponendo un Robert Taylor disturbato ed assetato di sangue ad uno Stewart Granger posato e riflessivo, rispettoso della vita e delle culture differenti (Debra Paget: bella e sensuale “indiana”; Russ Tamblyn, invece, con i suoi capelli rossi dovrebbe essere un mezzosangue….). Brooks non cede alla comodità di un delineamento psicologico che opponga il perfido all’eroe: il tipo di Taylor ispira più pena che odio, è mosso dall’ignoranza e dall’ottusità e questo rientra in una mappatura dell’essere umano tipica dell’autore, atta alla comprensione e non alla demonizzazione. Brooks ama anche i finali ad effetto, spesso tragici e significativi: Taylor, perseguitato dai fantasmi, si trasfigura, ucciso dalle proprie ossessioni. Non mancano tocchi ironici (la gag dell’uomo che appende la gallina all’attaccapanni) ed eleganti, fra punte di sarcasmo e metafore visive (l’accostamento vitello-bambino indiano; i cadaveri fra le ossa dei bisonti): Brooks va ancora rivalutato.
