TRAMA
Da quando gli Stati Uniti, nel 1946, lo hanno estradato in Italia ripulendogli la fedina penale per gli aiuti dati all’esercito nello sbarco in Sicilia, il boss dei boss Lucky Luciano conduce una vita apparentemente tranquilla a Napoli e l’Interpol tenta invano di incastrarlo quale vertice di una rete di traffico della droga.
RECENSIONI
Dopo il successo mondiale de Il Padrino, Rosi coniuga il suo cinema politico, accusatorio e realistico al cinema gangsteristico hollywoodiano, quello che dagli anni trenta in su, passando per Roger Corman e, appunto, Coppola, ha fatto scuola. La parte iniziale ricorda Corman ma è anche da manuale per la stilizzazione della violenza: una bellissima “passerella” di morti ammazzati che raffigura la notte dei vespri siciliani (in cui Luciano eliminò quaranta boss negli Stati Uniti). La parte finale ha, invece, quell’ambigua fascinazione per l’antieroe di cui (s)offre da sempre il cinema americano: mentre il regista ci dice che tutto è vano e tutto resta immobile (nessuno ha mai incastrato Lucky), c’è nell’aria una sorta di ammirazione per l’uomo scaltro, dall’apparenza mite e tranquilla, che ha manovrato governi e messo in piedi, praticamente, la rete mafiosa mondiale; ma anche per l’anziano (arriviamo al 1962) cagionevole di salute, contro cui è inutile ormai accanirsi. Nel mezzo, l’opera è invece del tutto rosiana: c’è una parte dove la figura di Luciano è lasciata nell’ombra, come simbolo irraggiungibile, senza profilo psicologico (che non ci sarà: la figura resta impenetrabile, tale e quale come è passata alla Storia); la complessa struttura a flashback (stile Il Caso Mattei) entra, prima di tutto, nel sistema Mafia, nelle sue collusioni con la politica estera americana, per restituire una visione macro che, basandosi su documenti storici, arrivi a bacchettare anche il nostro paese. Nessuna spettacolarizzazione ma analisi politica.
