Animazione, Coming of age, Commedia, DISNEY+, Fantasy, Recensione

LUCA

TRAMA

Luca, una creatura marina dedita alla pastorizia subacquea, incontra un suo simile, Alberto, insieme al quale, sotto sembianze umane, si avventura verso Portorosso, un villaggio di pescatori della riviera ligure. L’incontro con Giulietta e la partecipazione ad una gara mette a repentaglio il loro segreto.

 

RECENSIONI

Per il suo ventiquattresimo lungometraggio la Pixar sceglie un titolo semplice, immediato, che sa d’Italia, proprio come il film. "Luca" è il nome del protagonista, un giovane mostro marino alla scoperta del mondo fuori dall’acqua, dietro cui si nasconde Enrico, Casarosa per la precisione, regista del film, che ha voluto raccontare un pezzo della sua infanzia, attraverso le suggestioni e le influenze che l’hanno definito come artista. «Penso che ci sia molto di me in Luca. Da bambino, da Genova andavamo in vacanza alle Cinque Terre, dove ho conosciuto Alberto, un ragazzo molto diverso da me. Io ero chiuso, introverso, timido, pauroso. Lui era aperto, spregiudicato, coraggioso e siamo diventati grandi amici. Aveva una famiglia che non era lì per lui, e io avevo una famiglia che era un po’ troppo lì per me. Io ero titubante e lui seguiva una passione alla settimana. Lui ha dato a me e io ho dato a lui. Siamo molto vicini ancora oggi, perché certe amicizie e certe esperienze restano per sempre, soprattutto quando le vivi da piccolo. Parlare con lui della nostra amicizia mi ha molto aiutato a realizzare questo film». Basterebbe questo per descrivere la linea autoriale da sempre prediletta dalla Pixar, in contrasto con quella più tradizionale della Disney che, soprattutto in passato, ha sempre preferito adattare fiabe, leggende, miti, romanzi, interpretati attraverso l’immancabile Disney Touch, fissandoli nell’immaginario collettivo come la versione di riferimento. Proprio come la sirenetta Ariel, Alberto colleziona oggetti del nostro mondo, e a Luca viene vietato di salire in superficie per paura degli esseri umani. Le somiglianze finiscono qui perchè, come sempre, la Pixar fa virare il concept di partenza (qui meno inedito e spettacolare che d’abitudine) in direzione più autoriale lasciando il timone ai suoi registi, invitati a creare opere originali basate su storie intime e personali, meglio ancora se provenienti da un mondo a loro vicino la (stessa filosofia è riscontrabile nella serie di corti Pixar Spark-Shorts e Disney Short-Circuit disponibili su Disney+). Con Luca, Casarosa coglie al balzo l’occasione per dipingere la sua Italia, quella della riviera ligure, di cui aveva già dato un assaggio nel corto, sempre Pixar, La Luna, omaggiato anche nelle sequenze oniriche del film, quasi a ribadire la marca personale della sua visione, la cui portata si allarga per descrivere Portorosso, un fittizio villaggio dell’Italia anni cinquanta, dove i suoi abitanti evitano per lo più il generico clichè del Bel Paese (o lo usano per scopi comici) grazie all'attenzione ai dettagli e a quello che Casarosa chiama la “specificità”: gli italiani gesticolano (che è vero) ma a Genova e dintorni mangiano trenette al pesto e bevono caffè fatto con la moka. Del resto l’attenzione (che spesso diventa riverenza) verso l’autenticità di un popolo e la sua cultura è un altro elemento a cui la Pixar ha sempre tenuto, tanto da servirsi di cultural trust (come per Coco, Soul e appunto Luca) per infiltrarsi in quei mondi e anche, diciamolo, per non scontentare e/o offendere nessuno (si tratta pure sempre di blockbuster milionari rivolti a un pubblico di massa!).

 La ricerca grafica in termini di design e resa che ha portato in passato lo sperimentalismo Pixar a propendere per il realismo degli sfondi, lascia ora spazio ad una maggiore stilizzazione di personaggi e ambienti, che acquistano un look pittorico e illustrativo, più vicino alla sensibilità di Casa rosa e alla sua passione per gli anime giapponesi e lo studio Ghibli: c’è tanto di Porco Rosso in Portorosso, Alberto veste come il Conan di Miyazaki e il gatto Machiavelli sembra disegnato da Takahata. Senza contare che la convivenza tra esseri acquatici e umani era stata narrata anche in Ponyo sulla Scogliera. Queste fascinazioni riecheggiano anche in alcuni elementi stilistici come le bocche dei bimbi - molto manga, incredibilmente espressive, esagerate, grandissime e piccolissime al bisogno, e i denti che, sempre al bisogno, spariscono e riappaiono - o il ricorso a disegni per raccontare l’epilogo del film durante i titoli di coda. Qualche chicca è presente anche nell’animazione, come l’uso della multi-limb animation - vale a dire l’apparizione di più arti in qualche fotogramma, per conferire estrema fisicità (e un pizzico di spassosa assurdità) alle sequenze più frenetiche e slapstick -  o l’alternarsi di uno stile più snappy, cartoon e pose to pose per le sequenze terrestri a uno più fluido e grazioso sott’acqua, quasi a ribadire la differenza tra le due società. Per la creazione del mondo marino e le sue creature fantastiche i concept artist si sono ispirati a rappresentazioni pittoriche medievali e a sculture, mosaici e fontane disseminati in tutta Italia, mentre per il loro movimento gli animatori hanno osservato le iguane marine inserendo anche divertenti inside-jokes: Alberto, nell’insegnare a Luca a camminare, sembra quasi un docente di animazione intento a spiegare il classico e basilare “esercizio della camminata”. Tecnicismi a parte, nell’economia della storia il mostro marino è la metafora del diverso, dell'escluso e la sua trasformazione e il voler uscire fuori dall’acqua ammiccano al passaggio all’età adolescenziale, alle sue curiosità, alla voglia di apprendere. Il desiderio di Luca di andare a scuola è la spinta che lo porta a rompere l’ideale dell’ostrica incarnato dai genitori e invece respinto dalla nonna, così saggia e poco convenzionale (un pò come la nonna di Mulan o di Moana), a cui è affidata la battuta più commovente del film che ne incarna la morale: «Alcune persone non lo accetteranno mai, ma altre sì e sembra che lui sappia riconoscere quelle giuste». Luca è un viaggio di formazione senza il viaggio (elemento presente quasi in tutti i film Pixar e qui sostituito concettualmente dalla gara di triathlon “all’italiana”), il racconto di un’amicizia (o forse qualcosa di più) tra “sfigati”, i looser kinghiani che affrontano i bulli, si tuffano dalle colline, litigano e fanno pace, si salutano senza dirsi addio,  il tutto raccontato con la leggerezza di un fiaba e dipinto con la poesia di una illustrazione dove, all’ high concept e al twist brillante si prediligono (forse a causa della matrice europea pur innestata in un prodotto made in USA)  i suoni e i colori del sentimento.

DAL RACCONTO METAFORICO ALLA METAFORA NARRATA

Luca è un esempio cristallino, limpido come il mare ligure degli anni '60, della mutazione poetica e retorica del fiabesco Pixar anni 2000: dal racconto metaforico alla metafora narrata. Nel film di Enrico Casarosa, non si accede più alla dimensione metaforica mediante un processo di rilettura, a seguito di un disvelamento che comporti una rivelazione semantica finale, o successiva alla visione. In Luca, la metafora è tentacolare (l'uscita dall'età liquida e “squamosa” dell'infanzia, la scoperta della differenza, il passaggio della frontiera, la scoperta dell'altro (da) sé, la difficile “ascesa”, in bicicletta, al mondo degli adulti); essa precede la storia e la “eccede”, in senso etimologico: “andare fuori”, “andare oltre”, ovunque. La metafora non è più una scoperta, ma una coperta che avvolge tutto e tutti: i personaggi, gli eventi. Il narratore non suggerisce una chiave di lettura metaforica possibile ma non vincolante allo spettatore. Gliene consegna una, di chiave: la sola che sia in grado di aprire la porta di un racconto che, altrimenti, rimarrebbe irrimediabilmente “chiuso”. Lo spettatore è gradevolmente preso in ostaggio. Il duplice Coming of Age di Luca Paguro e di Alberto Scorfano (nomina omen) è il risultato di un'intenzione programmatica che oggettivizza, annullandola, l'esperienza connotativa, e soggettiva, dell'interpretazione. Lo spettatore è, in un certo senso, prigioniero di una retorica imprescindibile e ferrea: sa, fin da subito, dove la storia andrà a parare e come dovrà leggerla. Certo, non per questo in Luca manca l'emozione. Ciò che manca è lo stupore, la “magia” della scoperta, della rivelazione finale: l'epifania di un senso nascosto. Lo spettatore non sente la necessità di riattraversare il racconto, di ripensarlo a posteriori; il film “si pensa” da solo, (si) dice e si esaurisce durante la visione, una visione che non ammette deviazioni, pause, dubbi, esitazioni. Così è, così vi parrà; non c'è mistero che non sia svelato prima ancora che si riveli come tale. Prendere o lasciare.