TRAMA
Un matrimonio a Sorrento riunisce due famiglie danesi: tra limoni e terrazze sul mare, ognuno ha i suoi problemi, incomprensioni, debolezze e amori.
RECENSIONI
'Love can be a comedy or tragedy'. La frase di lancio di Melinda e Melinda si addice a Susanne Bier: come nel film di Woody Allen, la regista racconta una storia secondo due modalità espressive diverse, cambiando genere (drammatico/commedia). Il suo ultimo decennio cinematografico è stato 'tragedy', per la prima volta in Love is all you need diventa 'comedy'. Il rovesciamento rispetto alle opere degli anni zero è totale, la storia è esattamente la stessa. L'attrazione per un altro partner, rispetto a quello che si possiede, ricorda Non desiderare la donna d'altri; la scomparsa del coniuge era centrale in Noi due sconosciuti; il topos dello sposalizio come evento riunitivo e stimolatore dei contrasti richiama Dopo il matrimonio, con cui condivide anche il cancro che colpisce un genitore (lì un padre - qui una madre): è proprio quello il film di cui Love is all you need sembra rovesciamento. Ma il tessuto di rimandi è lungo e si potrebbe continuare. Ciò che conta, invece, è capire perché un film di Susanne Bier si apre sulle note di That's amore, è ambientato in una Sorrento da cartolina, è tarato su colori chiari e solari, indugia in limoni e scorci turistici, offre una lunga collezione luoghi comuni.
La regista di Copenaghen è sempre stata cineasta dell''esagerazione', anzi: l'eccesso è proprio la sua ragione di essere, definitivamente incensato con l'Oscar per In un mondo migliore. Qui è avvenuto uno scarto: l'eccesso prima applicato al dramma ora si applica alla commedia. Ecco quindi l'utilizzo voluto di situazioni risapute, intenzionalità che emerge in più punti: l'inizio è lampante, Ida che archivia la chemioterapia e per beffa scopre il tradimento del marito, premessa per dire che stavolta dal cancro si guarisce, i problemi saranno sentimentali. Una dichiarazione di intenti: il cancro che aveva dominato altri film nei primi 5 minuti è già finito, si passa subito ad altro. Allora - in virtù di questa lettura - si spiegano i caratteri opposti che si avvicinano (Ida/Philip), gli ossimori interni alla storia (a partire dal titolo originale: la parrucchiera calva), i promessi sposi che nascondono qualcosa e i déjà vu inseriti con naturalezza (lui si riscopre omosessuale), l'incidente stradale come punto di contatto, la villa italiana sfondo del ritrovo ecc. ecc. Non sono stereotipi ma archetipi: la Bier, con il saldo sceneggiatore Anders Thomas Jensen, maneggia tutti questi elementi per rivoltare il dramma e comporre una commedia tipica, e lo fa apposta. Addirittura i personaggi parlano del genere e del suo rovesciamento: quando Ida getta il bicchiere d'acqua in faccia al marito, la vicina Benedikte esclama la parola 'Drama!', ricordandoci che il tono può cambiare da un momento all'altro. Consapevolezza totale.
In questo spartito gli interpreti diventano particolarmente decisivi. Magnifica è Trine Dyrholm nella parte di Ida, capace di incarnare ogni sfumatura e protagonista della scena più bieriana del film: Ida esce dall'acqua e, completamente nuda, si copre per pudore la parte del seno deformata dal tumore. Tutto avviene con disinvoltura, in modo quasi 'nascosto', mentre si sviluppa la linea di dialogo con Philip davanti a lei, che educatamente non puntualizza la situazione. Nella commedia c'è il presagio della morte, riaffermazione identitaria dell'autrice. I giovani Molly Blixt Egelind e Sebastian Jessen reggono adeguatamene la partita, molto intelligente è il ruolo ritagliato su Pierce Brosnan: appurata la legnosità dell'attore, data per scontata, l'imperscrutabilità del suo volto viene piegata all'esigenza del racconto, è un indecifrabile inglese apparentemente intrattabile che ha avuto un dolore nel passato. Ci può stare.
Love is all you need è in definitiva un gioco, piacerà a coloro a cui piacciono i giochi. Facilmente smontabile, può legittimamente essere respinto ma va inquadrato per quello che è: non la migliore Susanne Bier, bensì un esperimento rischioso sul capovolgimento di registro, una piccola cosa che non è 'solo' commedia ma l'ennesima dimostrazione di un credo narrativo e cinematografico. Tornando ancora a Melinda: la storia è sempre la stessa, dipende da che parte la guardi.
