TRAMA
Un uomo esce di galera dopo avere scontato la sua pena. Vuole raggiungere la figlia e inizia un viaggio in completa solitudine…
RECENSIONI
Lungo viaggio di ritorno
Un uomo esce di galera dopo avere scontato la sua pena. Vuole raggiungere la figlia e inizia un viaggio in completa solitudine. Prima però gode della libertà attraverso la riscoperta di gesti semplici ma vitali, come mangiare un gelato, acquistare un regalo e soddisfare i propri istinti sessuali con una prostituta. Raccontare la storia del film dell’argentino Lisandro Alonso ha però poco senso, perché la sua forza è tutta nella commistione tra le immagini, essenziali nel procedere lineare della vicenda, e i suoni della natura in cui è immerso il protagonista. A dare spessore al tutto, la collocazione geografica e temporale. Siamo in Argentina, ma sembra di essere lontani dalla civiltà, in una terra in cui l’istruzione, la sanità, diciamo il progresso per come l’occidente è abituato a considerarlo, non trovano spazio. E siamo nel novembre 2003, quindi nella piena contemporaneità, mentre le dinamiche dei personaggi, i gesti quotidiani, le poche battute di dialogo, paiono provenire da un passato inevitabilmente remoto. Esemplare, al riguardo, la truce, ma in fondo naturale, scena dell’uccisione della capra o il ruvido approccio del protagonista all’alveare pieno di miele. L'occidente fa capolino solo nel finale, in cui una bambina, sola nella giungla insieme al fratello maggiore, gioca con un piccolo robot proveniente da quello che nel contesto descritto sembra un impossibile futuro. Ma Alonso non forza la mano, non sembra volere suscitare indignazione o facili e semplicistici atti d’accusa in cui ragione e torto sono chiari e riconoscibili (e se lo vuole non ci riesce). Il suo sguardo si limita quindi a mostrare senza giudicare, lasciando che le ambiguità restino tutte nel titolo. La sensazione finale è di essere stati testimoni dell'inconciliabile distanza tra mondi diversi in precaria convivenza. Ma si resta con la voglia di saperne di più.
