TRAMA
Duffy Duck, geloso delle attenzioni rivolte al rivale Bugs, cerca giustizia e viene licenziato. Con l’aiuto di una gelida executive (Jenna Elfman) ed una guardia giurata (Brendan Fraser) figlio di un famoso attore-spia (Timithy Dalton) sconfiggerà il terribile presidente della ACME inc. (Steve Martin) che vorrebbe sottomettere l’intero genere umano.
RECENSIONI
Joe Dante ha sempre ammesso, non certo unico per questo, d'amare i personaggi animati dei Loony Toons Warner ed il suo modo di fare cinema, ironico e "infantile" deve essere parso l'ideale per rilanciarne l'immagine. Ritornano dunque i protagonisti di Space Jam (e anche per un istante Michael Jordan) nell'ormai consueta fusione di animazione digitale e riprese dal vero. La storia si accartoccia su sé stessa nell'evidente tentativo di accumulo comico, permettendo a quasi tutti i celebri cartoni di mettersi anche brevemente in mostra, ognuno è libero di lamentarsi per il poco spazio concesso a questo o quel beniamino. Il pretesto spionistico permette una discreta integrazione di irrealismo fantascientifico ma, sorprendentemente, nemmeno una gag va a segno. Ancora più incredibile è che se l'integrazione di reale e animazione pur non perfetta è comunque entro la soglia di tollerabilità, non così è per la recitazione degli attori in carne ed ossa: Jenna Elfman e Steve Martin sembrano ritagliati con violenza da altre pellicole e schiaffati nelle improbabili situazioni con l'eterno spaesamento di chi non riesce a vedere il proprio interlocutore.
In effetti però il fattore più interessante è che Loony Tunes Back in Action è esempio fulgido del film-merchandising. Non importa il valore dell'opera in sé ma come si viene ad inserire nel complesso sistema di consumo americano, dagli studi hollywoodiani a Las Vegas, all'ambientazione nella giungla tipica d'un parco divertimenti. AOL-Time-Warner sono ovunque e possono permettersi di essere il tema taciuto eppure evidente, la potenza della rete referenziale in cui le location -vere e fittizie- si trovano, i comportamenti come previsti da uno schema di percorso, il gadget pronto per essere sotto l'albero a Natale. Nulla delle potenzialità di strutturazione intellettuale del capolavoro "Chi ha incastrato Roger Rabbit". Ma quello era Zemeckis, Dante -come ben dimostra la pochezza de "La seconda guerra civile americana"- non ha la forza costruttiva per oltrepassare l'essere-in-atto.
E' davvero sconfortante ritrovare un regista discontinuo ma estroso come Joe Dante alle prese con un pastrocchio insulso e brutto come "Looney Tunes: Back in action". In teoria sarebbe il seguito di "Space Jam", con alla base la stessa idea di un'interazione tra personaggi reali e cartoni animati della Warner Bros. Nella pratica si verifica un fenomeno bizzarro: sono davvero tante le idee che movimentano ogni sequenza, ma la creativita' non e' supportata da una regia capace di tenere sotto controllo i singoli elementi che compongono il film. Ci si trova cosi' sottoposti a un vero e proprio bombardamento visivo senza alcun amalgama in grado di dare un senso agli eventi che si succedono con ritmo inutilmente frenetico. Il difetto piu' evidente e' quindi l'assenza di una sceneggiatura (Pixar docet): la trama e' esilissima e i dialoghi sono piatti. La maggior parte delle gag ripropone situazioni da avanspettacolo dall'esito piu' che prevedibile e le pochissime battute brillanti smorzano il sorriso a causa di una impropria gestione dei tempi comici. L'usuale ironia di Dante fa capolino in alcuni dettagli (qualche frecciata allo show business e alle regole del marketing), ma sfocia in una comicita' fracassona che, difetto imperdonabile, non fa mai ridere. Anche la tecnica latita. "Chi ha incastrato Roger Rabbit" e' di quindici anni fa, ma appare molto piu' sofisticato. Soprattutto, non sempre convince la sincronizzazione tra persone e cartoon, con attori che, si capisce benissimo, fissano il vuoto mentre fingono malamente di interagire con i disegni animati. Purtroppo nemmeno la recitazione sopra le righe dell'intero cast e delle comparse (ogni gesto e' fastidiosamente amplificato e smorfie e moine non si contano) riesce a salvare il film dal completo disastro: Brendan Fraser e' piu' che volenteroso ma non ha il dono dell'espressivita'; la televisiva Jenna Elfman e' graziosa ma si agita inutilmente e non risulta affatto simpatica; Joan Cusack esaspera le gia' terribili battute che le toccano; Timothy Dalton pare spaesato e in performance alimentare; Heather Locklear sfodera un lifting perfetto (forse la cosa piu' riuscita del film), ma la Palma dell'insopportabilita' spetta di sicuro a Steve Martin. Truccato come Mike Myers, gigioneggia oltre ogni limite non riuscendo mai a strappare il benche' minimo sorriso e suscitando, invece, una sincera irritazione. Non manca un ricco corredo di citazioni (uh!) che pare abbia mandato in sollucchero buona parte della critica. Come se riciclare, a volte anche con brio, bastasse a riempire il vuoto narrativo in cui sprofondano i personaggi. Una sequenza si salva: il divertente e fantasioso inseguimento all'interno dei quadri del Louvre. Ma non basta certo una piccola boccata di ossigeno per dare respiro al film.