LOOKING FOR GRACE

Diviso in capitoli in cui si prende in considerazione un singolo risvolto, personaggio e aspetto della stessa storia ottenendone, solo in conclusione, il quadro complessivo, Looking for Grace è un elementare gioco di incastri, con sovrapposizioni totali e parziali dei tempi e incroci di caratteri, con riflessioni connesse relative all’ironia del Caso (il finale tragico: niente più sarà come prima) e studiate suggestioni visive (le figure in movimento nel paesaggio australiano; la cintura del grano che crea astratte, fascinose geometrie nei titoli di testa).


Facendo ricorso a diversi toni e generi (si va dal drammatico, al giallo, al grottesco fino al demenziale) si dipinge in tinte slavate il banale quadro di una famiglia e di un disagio postadolescenziale, di inadeguatezze genitoriali, di distanze abissali tra persone prossime, di tentativi di ricerca di un nuovo senso esistenziale, di segreti & bugie (lanciati nell’ordito e mai ripresi). La lambiccata struttura, rivelandosi da subito un mero espediente e via via più complicata (non mancano sottili divergenze tra una prospettiva e l’altra), nulla aggiunge ai suddetti elementi che si concatenano in una successione fatale sceneggiata al minimo sindacale.
Una curiosità: la frazione della fuga di Grace con l’amica innamorata di lei (Sappho, sic) rievoca in trasparenza Thelma & Louise (c’è anche l’improvvisato compagno di viaggio che, dopo l’amplesso, scappa coi soldi).