Drammatico, MUBI, Recensione

LONTANO DA QUI

Titolo OriginaleThe Kindergarten Teacher
NazioneU.S.A.
Anno Produzione2018
Durata96'
Sceneggiatura
Scenografia

TRAMA

Lisa è una maestra d’asilo di Staten Island che frequenta un corso di poesia, sua grande passione, ma che a poco a poco la sta allontanando dal marito e dai figli. Un giorno Lisa rimane incantata dal talento innato di un suo giovane allievo di 5 anni, Jimmy, capace di comporre con incredibile disinvoltura le poesie che lei ha sempre sognato di scrivere. Lisa decide così di coltivare il talento del bambino, trascurato dalla famiglia, e di proteggerlo dall’indifferenza della società, spingendosi però oltre i limiti della sua professione.

RECENSIONI

Una maestra d’asilo dall’aspetto tenero, che ama il suo lavoro e coltiva una grande passione per la poesia. Un bambino di cinque anni, con alle spalle una famiglia assente, ma investito di un talento fuori dal comune: la capacità di improvvisare versi dall’incredibile potenza poetica. Quando la maestra si accorge dell’esistenza del bambino e del suo dono, farà di tutto affinché la società non lo ignori e non finisca per farselo sfuggire. O che finalmente smetta di ignorare, non si lasci sfuggire lei. In questo scarto si nasconde tutta l’ambiguità del mondo, delle nostre frustrazioni, dei nostri desideri sottaciuti. E sotto la patina soffice della premessa si rivela poco a poco Lontano da qui, un film di risposte mancate, teso sul filo di un’inquietudine costante, non di rado disturbante, che dietro un’apparenza mai gridata tratteggia con efficacia il ritratto di una donna e della sua umanità disperata. Premiata per la Miglior Regia al Sundance 2018, la regista italo-americana Sara Colangelo opta infatti per una messa in scena solo apparentemente piana, ma che invece si rivela precisissima man mano che la narrazione incede, che gli eventi precipitano, che l’ossessione della protagonista si fa più accecante. È proprio la misura di questo sguardo, che rifugge ad ogni scarto l’eccesso, a rendere così pungente l’ambiguità del racconto, mantenendosi a distanza da ogni giudizio, senza per questo peccare di sterilità o di facile cinismo. Al contrario, questo è cinema della compassione sottile. Un thriller senza un cattivo, che attiva nello spettatore un moto di profonda umanità verso un personaggio la cui ossessione, seppure facile da rintracciare nella concatenazione un po’ deterministica di cause e effetti sociali, rimane fuori dalle mappe emotive più semplici. Quello di Lisa è un personaggio che resta fondamentalmente fuori dalla nostra comprensione. La basa ci è chiara: le frustrazioni di una donna in piena età adulta, con ambizioni professionali e culturali costantemente minate da una società in cui è difficile inserirsi (un titolo di studio che manca, le false speranze di un corso d’aggiornamento) e da una famiglia che non dà più stimoli (un marito comprensivo ma noioso, figli ormai grandi di cui non si condividono le scelte). Ciò che sfugge alla comprensione razionale è forse tutto il resto ed è giusto che sia così. Perché il senso delle azioni e le motivazioni che la muovono – fino alla scioccante parte finale – sfuggono anche a Lisa stessa. Quanto è la battaglia di una maestra-pigmalione che lotta per non disperdere il talento del suo pupillo? E quanto è una crociata puramente egoistica, l’utilizzo del bambino come strumento di auto-affermazione agli occhi degli altri e di se stessa? Lisa è un personaggio che brilla di un’ambiguità al contempo innocente e tenebrosa, e proprio in virtù di questo è d’obbligo, da parte dello spettatore, il pudore del non-giudizio. Non ci sono dita da puntare, accusa da muovere o giustificazioni per perdonare. È fuori rotta la discussione su cosa è giusto e cosa è sbagliato. Lisa è un personaggio disperato, di una disperazione commovente, muta e cieca, così lontano da noi, così vicino.